Ultima modifica 28 Aprile 2021
C’era una volta il 1968, anno simbolo della contrapposizione (politica ma anche sociale) dei giovani verso la generazione degli adulti.
Una rivoluzione adolescenziale che rivendicava una nuova voce, una possibilità di non dover accettare i dettami di qualcun altro.
Cinquant’anni dopo, proprio in questi giorni, la storia sembra ripetersi con gli adolescenti di oggi che fanno sentire la loro voce. Manifestazioni di piazza, alcuni licei che annunciano l’occupazione, un collettivo che emette un comunicato stampa chiaro e che potrebbe insegnare (per l’educazione dello stile e la forza dei contenuti) a molti.
I ragazzi, insomma, ci stanno dicendo come la pensano.
Non concordano con alcune linee politiche e si dicono preoccupati per il loro futuro.
Si può essere d’accordo o meno con ciò che esprimono ma non è possibile, secondo me, sminuire il loro operato con frasi che puzzano di vecchio.
“Andassero a studiare”
“L’occupazione è solo un modo per fare un po’ di vacanza non autorizzata”
“Ma che ne sanno loro di come va il mondo?”
Questi solo alcuni, rappresentativi però, dei commenti letti sui social sotto gli articoli dei giornali.
“Ma come?” mi domando. Fino all’altro ieri gli adulti si lamentavano di adolescenti sdraiati, senza nessun interesse per alcuna attività, persi dentro i loro smartphone e lontani dal mondo reale. Oggi, quando a gran voce, esprimono la loro opinione diventano dei fannulloni strumentali?
Posto che l’adolescenza è, per antonomasia, l’età della contrapposizione non è meglio che questa, invece che contro le regole, sia veicolata verso qualcosa di costruttivo?
Dimostrare senso civico, interesse verso il proprio futuro, occuparsi della polis sono atti importanti che devono obbligare noi adulti a guardare questi ragazzi con occhi differenti. Occhi attenti ai loro cambiamenti ma, soprattutto, orecchie aperte alle loro istanze.
Che possono apparire ingenue, spinte da valori utopistici e sentimentali ma che ci sono e che sono il motore della loro crescita.
Purtroppo il cambiamento è difficile e faticoso per tutti, tanto più per una generazione di adulti che si è seduta (su una poltrona o sulle proprie presunte certezze) e che fatica ad alzarsi e mescolarsi in mezzo a questi adolescenti per ascoltarli e capirli.
Magari a costo di sdraiarsi accanto a loro, così da poter conversare guardandosi negli occhi.
Alla fine non siamo proprio noi i figli di quella generazione degli anni 70 che ha portato tanti cambiamenti?
Di cosa abbiamo paura dunque?
Già, di cosa abbiamo paura? Pronti a criticare sempre gli adolescenti quando da essi possiamo anche imparare a difendere i nostri diritti (di tutti), il nostro futuro (di tutti).
Appunto.