Ultima modifica 28 Aprile 2021
Di bullismo e dintorni si parla da anni, identificandolo come il male di questa nuova generazione di adolescenti.
La cronaca ci racconta, tristemente, di ragazzi bullizzati in ogni scuola di ordine e grado.
E l’opinione pubblica si indigna dando addosso ai bulli, lavandosi sempre la coscienza con il solito litemotiv.
Non potrà mai succedere a me.
Mio figlio non sarà mai coinvolto in queste cose.
Ma come funziona esattamente il fenomeno del bullismo?
Pare semplice: un soggetto (erroneamente) riconosciuto come forte infligge delle umiliazioni ad un altro soggetto (apparentemente) più debole. Ma questa è una semplificazione.
Intanto perché il bullismo non può esistere senza un terzo soggetto che sembra ininfluente ma che è il vero motore del fenomeno: il pubblico.
Già perché il bullo, senza una platea che dà forza alle sue azioni, non può esistere.
Se non c’è un gruppo di coetanei che ride e rinforza le azioni del (presunto) leader questi non avrebbe più nessuna importanza. E le sue azioni risulterebbero semplicemente crudeli.
Perché il vero bullo, alla fine, altro non è che un soggetto debole tanto quanto la vittima ma che sublima la sua debolezza attraverso la forza che riceve dal pubblico.
Ma la semplificazione non finisce qui.
Esistono, infatti, due tipologie di bullismo: quello maschile e quello femminile.
Il primo è caratterizzato da agiti di tipo fisico: botte, insulti, prevaricazioni fisiche.
Ne abbiamo una rappresentazione fin troppo chiara nelle ultime immagini di Thirteen quando Tyler, uno dei personaggi, viene aggredito e portato in bagno. E qui, dopo che il gruppo gli spinge la testa nel water, viene sodomizzato con il bastone di uno spazzolone. Una scena violenta, certo, ma che ben racconta cosa subiscono le vittime di bullismo.
Ma c’è un bullismo differente, più sottile e più perverso, che è quello femminile.
Le ragazze, infatti, non agiscono fisicamente ma lo fanno da un punto di vista psicologico, spesso sui social. Denigrazioni, appellativi di stampo sessuale, attacchi che minano l’immagine. Insomma: le ragazze, quando ti bullizzano, fanno in modo che tutti pensino che sei una puttana. Né più né meno. Ma, sempre, con un pubblico pronto a enfatizzare il messaggio del bullo perché altrimenti tutto finirebbe presto in una bolla di sapone.
Ma da dove nasce il bullismo?
Purtroppo erroneamente si pensa che sia un fenomeno puramente adolescenziale ma, mi spiace disilludervi, ha un’origine più profonda.
Il bullismo nasce da un imprinting sociale.
Che, per gli adolescenti, purtroppo deriva dal mondo adulto. Siamo noi adulti i primi a insegnare il bullismo ai nostri figli.
Come?
Beh… è abbastanza semplice. Basta per esempio che qualcuno esprima la propria opinione su un tema molto caldo di attualità, che qualcun altro l’attacchi pubblicamente e – in un nanosecondo – la folla infuriata si scaglia contro chi ha espresso la propria idea.
Non è successo così a Emma, la cantante?
Ma non solo a lei, purtroppo. Agli studenti che manifestavano in Sardegna contro le scelte del governo, agli studenti che in tante piazze italiane si contrapponevano ai tagli che il Governo ha fatto nel settore della scuola e a molti altri, contro l’educatrice (rea di essere fidanzata con un ragazzo della Nigeria) che sui social ha espresso il suo dissenso in tema di accoglienza.
Oggi, purtroppo, il bullismo fa parte principalmente del mondo adulto e si sviscera in particolare in rete dove schiere di troll hanno come attività principale quella di attaccare ogni persona che la pensa diversamente dal dettame principale.
Come possiamo pensare, quindi, di combattere il bullismo che colpisce il mondo adolescenziale?
Siamo sempre pronti ad attaccare i nostri adolescenti per ciò che commettono ma ci dimentichiamo spesso che imparano da noi, semplicemente imitando i comportamenti che noi adulti mettiamo in atto.
E siamo proprio noi adulti a costruire un mondo in cui c’è sempre qualcuno più forte e qualcun altro più debole, qualcuno che ha più valore e qualcun altro che ne ha meno. A costruire una società nella quale l’uguaglianza sembra un difetto e l’empatia assomiglia più ad una malattia.
Questo perché ogni giorno non facciamo altro che dividere il mondo in categorie sentendoci in diritto di giudicare la diversità come un limite con l’aggravante di attaccare l’altro nella sua persona e quindi nel suo punto più fragile. Nei luoghi di lavoro, nello sport, in politica, in famiglia, nella scuola…
Ma continuiamo pure a lamentarci del bullismo che imperversa nelle scuole e a colpevolizzare gli adolescenti per le loro azioni.
Tanto noi non abbiamo nessuna responsabilità.