Ultima modifica 10 Ottobre 2019
Primavera in Giappone.
Quest’anno è arrivata all’improvviso.
Ovviamente i giorni sul calendario non si sono fermati, ma il freddo non ci voleva davvero abbandonare.
In un certo senso è stata una pacchia per tutti quei turisti che, ogni anno, intraprendono il viaggio, con la speranza di trovarsi davanti alla fioritura dei ciliegi e allo splendore della primavera.
Ma vi confesso che quest’anno ero davvero stanca dei vestiti pesanti e delle bustine riscaldanti sempre in tasca.
Vi ho già parlato dei tipici passatempi di questo periodo: picnic sotto gli alberi di ciliegio e simili non mancano mai (anche quando il meteo non collabora).
Ma quest’anno, per noi, la primavera in Giappone ha segnato l’inizio di una nuova avventura.
Mio figlio ha cominciato la prima elementare!
Si, qui le scuole cominciano in aprile, e lo stesso accade per tante altre cose (per esempio, i contratti di lavoro, i cambi di casa, e così via).
Voi tutti, avrete sicuramente un’idea della scuola elementare che corrisponde alla vostra esperienza. Anche per me è lo stesso.
Ma cambiando paese è inevitabile riscontrare delle differenze.
Per prima cosa, esiste un doposcuola per bambini con genitori che lavorano.
E, finalmente, possiamo accedervi anche noi, nonostante il mio lavoro mi impegni soltanto in alcuni giorni della settimana.
E vi dirò di più, il doposcuola comincia due settimane prima dell’inizio ufficiale delle lezioni. Questo, senza ombra di dubbio, ha salvato la situazione permettendomi di partecipare ai vari incontri di lavoro che ogni scuola organizza.
Anche se abbiamo appena cominciato, so già che il doposcuola sarà un alleato insostituibile in tutte le occasioni in cui il mio lavoro e i giorni di vacanza non coincideranno (ne ho già individuati un paio).
Mio figlio adora il doposcuola.
Divisi in due gruppi, i bambini di tutte le età passano il tempo insieme.
I grandi badano ai più piccoli e viene incoraggiato quello spirito di gruppo che, fino ad ora, mi è sembrato piuttosto carente nell’organizzazione scolastica giapponese.
Ormai, mio figlio chiede ogni volta di venire a prenderlo il più tardi possibile, e quando mi vede continua a dirmi che quei bambini sono i suoi amici.
Penso che possiate immaginare quanto mi renda felice.
La scuola è cominciata ufficialmente con una cerimonia di inizio, nel secondo venerdì di aprile. Mio figlio veniva da dieci giorni di doposcuola, e quindi non era particolarmente preoccupato, ma ha mostrato un po’ di imbarazzo nei confronti dei suoi coetanei.
La classe è composta da ventotto bambini, con una sola insegnante responsabile, e un aiuto per il sostegno, per tutti i bambini che mostrano qualche difficoltà.
La prima settimana si è svolta all’insegna dell’adattamento, e da venerdì scorso hanno cominciato a mangiare in classe, tutti insieme (si, proprio quello che magari avrete visto negli anime, dei bambini con grembiule e cappello servono il pasto ai compagni, facendo dei turni).
Per quanto riguarda lo studio, io incrocio le dita e spero che tutto vada per il meglio.
Quando non si vive nel proprio paese si cerca, con tutte le forze, di capire quello che ci circonda. Se parliamo di scuola, io purtroppo ho un po’ di esperienza e quindi valuto tutto con occhio “semi professionale”, rischiando di sembrare un po’ noiosa. Spero che la maestra di mio figlio sia una persona comprensiva!
Ovviamente esistono anche altre differenze, più o meno evidenti. I bambini, per esempio, vengono chiamati col cognome e il suffisso “san”. Per capirci, immaginatevi una classe di bambini di sei-sette anni in cui la maestra si rivolge al singolo studente chiamandolo “signor Rossi”. A voi piacerebbe questa idea?
E infine, penso che lo sappiate già, i bambini giapponesi vanno a scuola da soli.
Le mamme li salutano dalla porta di casa, e loro si immettono nella marea di coetanei e non, che ogni mattina si dirige fino alla scuola.
Per la migliore riuscita di questa usanza giapponese, a parer mio, contano molto due aspetti: avere un gruppo di amici con cui andare a scuola (coetanei e non), e vivere nei dintorni.
Se ci sono gli amici del vicinato, i genitori sono più tranquilli, e anche i figli vanno a scuola più volentieri.
E per quanto riguarda la distanza, gli studenti delle elementari portano uno zaino standard, con una forma uguale per tutti che è davvero pesante.
Nei giorni in cui vengono richiesti testi diversi, portare tutto il peso sulle spalle può diventare una bella fatica, e la distanza non aiuta di certo.
Noi abitiamo a circa due chilometri dalla scuola (una distanza che, per un adulto, implica una camminata di circa venti minuti), e non abbiamo famiglie con bambini che vivono nelle vicinanze.
Quindi, mi sto comportando come una mamma italiana: accompagno mio figlio a scuola, lo vado a riprendere alla fine del doposcuola.
Non sono ancora riuscita a lasciarlo procedere da solo.
La strada è molto frequentata, e ci sono due grossi attraversamenti pedonali da superare, quindi per ora va bene così.
Ma sono pronta a farmi da parte non appena mio figlio me lo chiederà.
Voi che ne pensate, succederà presto?
O magari la sua parte italiana prenderà il sopravvento e mi toccherà accompagnarlo ancora per qualche anno?