Ultima modifica 17 Giugno 2023
Esiste, a scuola, un filo sottile e quasi invisibile che parte dalle difficoltà ed arriva a volte ai DSA: disturbi specifici dell’apprendimento. Anche se il percorso non è così lineare e consequenziale.
Come accade spesso, quando i cambiamenti sociali e, per caduta, comportamentali diventano importanti, c’è sempre chi resiste per autodifesa o per insicurezza (forse), contando sulla forza dell’abitudine e sul “si è sempre fatto così”, e chi prova ad attrezzarsi. Non vorrei parlare di ragione dell’una o dell’altra parte, ma soltanto interpretazioni di una professione dalle innumerevoli variabili… così tante che alla fine non è così difficile perdersi.
DSA: qualche riflessione sulla professionalità docente
C’è chi pensa, infatti, che la professionalità docente debba mantenersi nel disciplinare, senza travalicare in altre professionalità specialistiche. C’è chi ritiene che, pur restando se stessa, possa comunque fare un passo in più, diventando un reale anello di congiunzione tra il problema dei disturbi specifici dell’apprendimento e i tentativi di risolverlo, insieme all’ambiente specifico della diagnosi e del recupero.
Nel corso di questi anni mi sono più volte chiesta dove ci chiedono di arrivare, oppure se sia giusto o meno aggiungere competenze per rispondere alle crescenti difficoltà: anche per noi insegnanti è difficile capire fin dove si può.
All’inizio la vedevo come “impìcciati… ma non troppo”.
Non è facile, lo capite no?
Abbiamo di fronte piccole persone, non pacchetti postali da pesare.
La nostra “bilancia” è uno strumento sofisticato che pesa sorrisi e frustrazioni.
E’ dura.
Una certezza è che un insegnante non può fare diagnosi e nemmeno azzardarle. Non ne ha le competenze.
E’ però sempre più chiaro che la scuola è il primo luogo in cui un bambino mostra a lungo e più apertamente la sua fragilità.
Per questo, all’insegnante può accadere di avvertire qualcosa che non va, che si interrompe, che non trova una linea di continuità e non si può far finta di niente.
Lì, anche noi, dobbiamo trovare un argine alla nostra sensibilità e, di contro, un altro alla chiusura, per trovare una via professionale concreta da seguire.
Quante volte ci sentiamo tacciati di ricercare diagnosi per giustificare i nostri insuccessi educativi e formativi?
Quante volte, al contrario, sentiamo dire che non ci accorgiamo di segni di possibili dislessie, disortografie, disgrafie o discalculie?
Io credo che, anche chi non è mai incorso in questi malintesi, si senta intimorito e spesso non sappia come agire.
Esiste ancora oggi la possibilità che un insegnante non sappia cosa fare.
Vi spaventa?
Spaventa tutti: insegnanti, genitori e bambini.
Il non sapere è il male di ogni cosa.
Spesso ci si affida alla sensibilità di una persona, ma non basta. Non è sufficiente.
Purtroppo nella nostra realtà sta diventando un problema evitare argomenti così delicati. Non parlo di un’infarinatura, ma di quanto stia diventando necessario conoscere la normativa di base, unica guida su cosa è concesso fare o dire e sulle libertà che non ci possiamo concedere, proprio per capire come muoversi.
Queste riflessioni sono uscite dalla frequentazione di un corso sui disturbi dell’apprensimento e mi spaventa la mole di conoscenze che mi mancavano.
Conoscenze sulle strade dell’apprendere, sui motivi che scatenano le fragilità di alcuni bambini, sui diritti di quei bambini che non li pretendono, a meno che non siamo noi a leggerli.
Mi chiedo, come altri miei colleghi e colleghe, come mai questo tipo di formazione non diventi obbligatoria, perché l’insegnamento a bambini con disturbo dell’apprendimento è una realtà diffusa che ci riguarda tutti. Tutti.
A me è capitata la fortuna di incontrare persone che mi hanno ispirato a cambiare metodologia, attraverso esempi e tanti testi studiati.
Strade diverse da esplorare insieme ai bambini, per trovare quella giusta per tutti.
Ora, grazie a questo corso, arriva anche la consapevolezza più forte che non si può più far finta di niente.
Bisogna trovare altri modi.
I bambini con Disturbo Specifico dell’Apprendimento devono avere sempre un supporto nella loro area di fragilità e, nel momento in cui ce l’hanno, grazie all’insegnante, allora possono arrivare a traguardi sperati.
Non sono certo magie. Dietro ad una fragilità ci sono sofferenze che non possiamo curare con un cerotto, perché si inseriscono in una complessità che non siamo in grado di gestire globalmente, ma la nostra parte la possiamo fare.
Sono atti dovuti, studiati e consapevoli, ed esiste il modo di acquisire un’adeguata conoscenza.
Non nego che mi spaventa cogliere segnali che potrei fraintendere, perché sono una persona con un suo passato, delle aspettative e dei limiti, come tutti.
Parliamo di responsabilità?
Già, più entri nel vivo e più ne hai.
Però una professionalità allargata, che alla sensibilità aggiunga conoscenze solide, potrebbe essere utile a qualche bambino e, pur con tutte le incertezze del mondo, vale sempre la pena.