Ultima modifica 27 Maggio 2019
Tutti i bambini affrontano delle sfide: imparare a calciare lontano, fare le divisioni a due cifre, eseguire una piroetta senza perdere l’equilibrio, ma anche fare amicizia con la bambina nuova, condividere i propri giochi o mangiare tutto a mensa.
Per alcuni bambini tuttavia alcune sfide possono rivelarsi più faticose che per altri.
Nel suo libro, Martina la bambina Tartaruga, Chiara Patarino affronta proprio questo tema presentandovi un bellissimo racconto a due voci sul tema dell’autismo.
Le due voci sono quelle di Martina, una decenne nello spettro autistico e Rocco, il suo compagno di quarta elementare che, non essendo in grado di accogliere e comprendere a pieno la diversità, la prende in giro.
E se per Martina la sfida più grande consiste, come per molti bambini autistici, nel saper creare relazioni di amicizia con i suoi pari, nel leggere i segnali sociali, nel comprendere il non detto, nello svincolarsi dai suoi rituali, per Rocco la prova più grande sarà superare il pregiudizio, l’incapacità di interpretare i gesti della sua compagna e liberarsi dalla scorza di bullo per imparare ad essere, beh, qualcosa di diverso.
In Martina la bambina Tartaruga, Chiara Patarino adopera una metafora assolutamente calzante per parlare di neurodiversità
e lo fa usando l’immagine di un animale che, a seconda dell’angolazione, presenta due diverse immagini. La tartaruga, che si ritrae nel suo guscio se avverte il pericolo, che è l’emblema stesso della lentezza, da un altro punto di vista può invece trasmettere un’idea di sicurezza, di tranquillità, di pacatezza. Perché a me piace molto pensare che, senza voler affatto sminuire le enormi difficoltà che le persone con autismo affrontano nella quotidianità, l’autismo è (anche) una questione di prospettiva.
Indubbiamente è tanto più semplice concentrarsi su ciò che una persona con autismo o con un qualsiasi tipo di neurodiversità non sa fare; ci vuole una grande visione di insieme per coglierne le potenzialità. Mi spiego meglio.
A me piace pensare all’autismo come ad una calla.
Avete presente? La calla è un fiore meraviglioso ma che non ha petali.
Ora, quando ammiriamo la bellezza e la perfezione della calla, ci concentriamo forse su ciò che non ha? Diciamo forse che la calla ha un “disturbo da deficit di petali” o ne contempliamo la forma, la bellezza, il profumo?
A Rocco non è stato insegnato a guardare oltre la diversità.
Rocco non è “cattivo”, è solo “poco informato”, ignora o non si cura dell’ansia che le sue azioni possono provocare in Martina perché semplicemente non gli è stato detto come superare il pregiudizio.
E così come Martina e tutti i bimbi autistici devono imparare come intrattenere relazioni sociali efficaci mentre gli altri imparano a leggere e scrivere e far di contro, così Rocco e tutti noi neurotipici dobbiamo educarci ad accogliere ciò che non capiamo, ciò che non ci assomiglia con la consapevolezza e la serenità che riconoscere ciò che è diverso da noi non mette certo a repentaglio la nostra identità, non toglie nulla a ciò che siamo. Anzi aggiunge.