Ultima modifica 17 Giugno 2023
Noi abbiamo iniziato.
Eccoli di nuovo sui banchi che cominciano ad essere piccoli tanto che qualcuno deve stare a gambe tese, perché il sottobanco spinge sulle ginocchia.
Sono alti come me e, come accade sempre in quinta, se colleghe, collaboratrici, rappresentanti entrano in classe non mi trovano.
Il mio 1,53 (1,57 con inutili tacchi) colpisce ancora.
Potrei sfruttarlo se non volessi essere trovata… non tutto il male viene per nuocere.
Sì, cominciamo e lo facciamo con due nuovi compagni.
L’ingresso in quinta è sempre dura: quattro anni in una scuola sono tanti e cambiare all’ultimo anno è uno strappo.
Deve essere forte e definitivo, ma non so immaginare bene una sensazione del genere: forse per questo i bimbi “nuovi” ti stanno nel cuore da subito.
Più che coccolati, vanno osservati e accompagnati sempre.
Per fargli sentire che non sono soli mai, che se allungano una mano trovano l’ascolto; che, anche se non l’allungano, comunque siamo accanto.
La classe accogliente deve lasciare uno spiraglio aperto sempre, in attesa che il nuovo arrivato voglia entrare: sì, perché ci vuole tempo per capire dove sei ed il tempo di un nuovo orologio. Ed è sempre l’insegnante che deve spingere tutti gli altri a lasciare il varco. I gruppi sono già formati e c’è sempre il pericolo che dopo l’iniziale novità, tutto torni staticamente chiuso. E non va bene, ovvio.
Io di solito, in queste situazioni, provo una sensazione meravigliosa e terribile pensando al tempo che scorre. A scuola il tempo è il solo ed unico strumento che abbiamo per cambiare le cose e per migliorarle.
A scuola nulla avviene in un attimo. Nulla.
Anche l’intuizione lampante, quando lascia tempo alla riflessione, spesso torna su se stessa: quanti bambini dicono “Hocapitoorahocapitooo!” e poi increduli, quando analizzano, si perdono. E’ normale.
E’ il tempo che poi, se ben sfruttato, fissa la conoscenza o il processo intuito. E’ il tempo.
A passare male un anno ci vuole un niente.
A sprecare un tempo prezioso basta un non-pensiero, una non-attenzione, una non-empatia.
I due nuovi arrivi, esattamente come i compagni appena trovati, hanno diritto a un anno significativo per la conoscenza. Noi non possiamo mollare nemmeno mezz’ora, per dargli l’opportunità di crescere senza pause. Non possiamo scegliere né gli uni, né gli altri.
E per non farlo possiamo solo lavorare affinché si crei un flusso, un contatto, un incontro tra loro prima possibile.
A scuola tutto passa attraverso il rapporto, la relazione positiva e costruttiva.
No, questo non vuol mirare alla Scuola del Mulino Bianco.
Si mira semplicemente a tenere presente l’altro, quell’altro che può essere in accordo o in disaccordo con me. Basta che non ci sia indifferenza.
Al mattino ci si guarda, ci si tiene presenti.
Del resto le novità destabilizzano. Ma nella vita non possono essere evitate: vanno affrontate per cercare nuovi equilibri.
Anche questo avviene a scuola ed è un bene che accada.
Le novità tirano fuori talenti e nuove attitudini.
Forse anche un po’ di tristezza, un po’ di rabbia. Ma chi ne è esente nella vita.
Il tempo deve essere insieme agli altri, non un tempo-monade: deve essere un tempo vivo, vivace, sveglio in senso sociale.
In quinta tempus fugit, ma non deve scappare fissando piccole solitudini.
Oggi a fine giornata, ad un “Come sei stato”, sentirsi rispondere “Bene” con un sorriso è stato il primo passo.
Un primo passo che conta, se hai lavorato con le colleghe perché ciò avvenisse.
Un primo giorno per capire che le braccia e le orecchie sono aperte, l’abbiamo afferrato.
Domani si riprende a guardare gli occhi, a scrutare quando si appoggiano su qualcuno sorridendo o quando si abbassano pensierosi.
E lì studieremo qualcosa.
La fantasia non ci manca.