Ultima modifica 18 Novembre 2021
Inutile negarlo: questa emergenza determinata dalla diffusione del Corona Virus sta mandando in confusione quasi tutti noi. Scuole chiuse, decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che ci dicono cosa fare, vincoli a ogni aspetto della nostra (abituale) vita quotidiana.
Insomma, una gran confusione acuita da pareri discordanti. Dagli Sgarbi di turno che raccontano che è tutta un’invenzione, ai Burioni allarmisti che invece continuano a ricordarci che non si scherza con una situazione del genere.
Se noi adulti non sappiamo da che parte girarci, combattuti tra la necessità di non dimenticare una vita fatta di lavoro e produttività e l’istinto primordiale di proteggere noi stessi e i nostri cari, figuriamoci cosa ne possano pensare gli adolescenti.
Gli adolescenti, oggi, sembrano essere ancora più confusi del solito.
Tra il fatto di vivere in una sorta di bolla fatta di non-scuola che ha il sapore di una vacanza (forse) immeritata e la necessità di normalità che potrebbe togliere loro la paura di qualcosa che (nemmeno loro) comprendono, il rischio è che davvero non comprendano cosa ci troviamo ad affrontare.
In fondo, in questo, dovremmo essere loro vicini. Perché, alla fine, nemmeno noi sappiamo bene a chi credere.
Dobbiamo fidarci dei media nazionali che ci raccontano ogni giorno la conta dei caduti e dei sopravvissuti? Possiamo ragionare solo sul nostro piccolo orticello fatto della necessità di andare a lavorare per mantenerci fregandocene di ciò che ci raccontano? Dovremmo accontentarci degli influencer che esprimono la loro opinione senza che possiamo credere loro fino in fondo?
Ecco: in poche parole credo di essere riuscito a descrivere il default del nostro raziocinio.
Eppure, oggi più che mai, è nostro compito prenderci cura delle idee e delle opinioni degli adolescenti. Perché non cadano in quel tilt mentale che potrebbe essere fatale. Per loro e per noi.
La cronaca, purtroppo, ci racconta di estremi paradossali e istintivi che difficilmente si riescono a collocare in un pensiero critico e razionale. Dalla movida (milanese, ma non solo) che fino all’altro giorno sembrava fregarsene delle indicazioni degli scienziati, alle fughe isteriche con le stazioni prese d’assalto per scappare da un potenziale pericolo non ancora identificato, fino alle code chilometriche davanti ai supermercati per assicurarsi i beni primari in attesa di catastrofi ineluttabili.
In tutto questo parossismo schizofrenico come possiamo essere d’aiuto a chi, più di noi, ha costantemente bisogno di una guida?
In una società in cui ormai chiunque può dire la sua come possono i nostri adolescenti riuscire a farsi un’idea sufficientemente razionale di questa situazione? E come possono, eventualmente, coniugare questo pensiero con la loro voglia di relazioni differenziate, dei loro istinti e della loro voglia di trasgredire le regole?
Può essere sufficiente che un organismo deputato al mantenimento dell’ordine dica loro a cosa devono rinunciare?
Possono farsi bastare un hashtag come #iorestoacasa per avere delle risposte alle loro domande?
Io non credo.
Non è sufficiente se non si instilla in loro un processo di riflessione a trecentosessanta gradi che possa davvero indurli a scegliere. E a rispondere alla necessità del loro processo evolutivo: mettere in discussione le regole e distruggerle per farle proprie. E rispettarle fino in fondo.
Su quali corde possiamo, dunque, far leva per aiutare gli adolescenti in questa situazione?
Tre sono, secondo me, le parole sulle quali far leva: responsabilità, sacrificio e vita. E questi concetti sono ben riassunti nella lettera che Alberto Pellai ha scritto per tutti gli adolescenti, per i suoi figli e per i nostri. E per noi genitori.
“Volete vivere? Allora quella vita ora dovete proteggerla. Non è tanto la vostra vita, in gioco, in questo momento. Non siete a rischio voi. Uno strano incantesimo del virus COVID 19 rende voi minori apparentemente non suscettibili o pochissimo suscettibili agli effetti clinici del virus che sta piegando il mondo. Voi non venite piegati dal virus. Ma molte altre persone sì.”
Ecco la chiave di volta: ricordare ai ragazzi che il non essere direttamente in pericolo non li esime dalla responsabilità di pensare a chi potrebbe invece esserlo. Senza andare tanto lontano, in quei meandri delle notizie che mostrano (a noi e a loro) quanto le sofferenze siano lontane da noi. Senza richiamare le guerre, la povertà o il degrado. Senza ricordare la guerra in Siria o i profughi di ogni parte del mondo.
Semplicemente ricordando loro che anche coloro che ci sono vicini sono a rischio. I nonni, i genitori, i vicini di casa. Le persone a cui siamo affezionati senza il bisogno di ricordarci (in una normalità che oggi non è più nostra) quanto sono importanti per noi.
Di questo hanno bisogno i nostri ragazzi: di uscire dal loro egocentrismo congenito ed entrare in un processo di empatia collettiva. Anche se, per loro, è un processo faticoso.
“Essere adolescenti, giovani uomini e donne porta un bisogno fisiologico e implicito di stare nel fuori. Di andare a scoprire il nuovo e l’ignoto. Di muoversi per il mondo. E’ stato così fino alla scorsa settimana. Voi siete i figli che hanno potuto godere dell’Erasmus, rendendo l’Europa tutta, un’unica sede universitaria. Siete gli ex bambini, che grazie alla diffusione delle linee low cost, noi genitori abbiamo preso per mano e portato in giro per il mondo, fin da quando eravate piccolissimi. Vi abbiamo insegnato che il mondo è la vostra casa. Lo abbiamo continuato a fare anche quando i terroristi volevano convincerci del contrario. Volevano farci chiudere nelle case, pieni di spavento, impauriti dal rischio connesso alle loro azioni omicide. Noi non ci siamo piegati. Abbiamo continuato a spingervi nel fuori, a dirvi di andare, di non fermarvi. Niente avrebbe dovuto piegare il vostro diritto alla libertà.”
Ma oggi è diverso. Oggi è il tempo della responsabilità e del sacrificio. In nome della vita.
Siamo orgogliosi di aver cercato di crescere i nostri figli (che oggi sono adolescenti) permeandoli di valori per i quali le generazioni prima di noi hanno lottato, fino alla morte, perché noi potessimo beneficiarne.
Oggi valori come libertà, rispetto, lotta, fatica, dolore, privazione sembrano essere quasi scontati nelle nuove generazioni.
Ed è merito nostro. Non colpa, ma merito.
Perché sollevare i nostri figli dalle sofferenze è uno dei compiti più ingrati che abbiamo portato sulle nostre spalle.
Ma non dobbiamo esagerare, altrimenti rischieremo di fare loro del male.
In fondo “è un bene che le vostre vite abbiano potuto dipanarsi seguendo il filo della libertà assoluta e dell’autodeterminazione. Ma oggi, quel filo si è spezzato. E voi dovete imparare una competenza che forse non siamo stati molto bravi a trasmettervi, noi adulti. Quella competenza si chiama responsabilità. Ed è ciò che differenzia un adulto da un bambino“.
Questo è ciò che dovremmo raccontare oggi ai nostri figli adolescenti, con il coraggio di chi sa ammettere di avere paura. Perché ammettere di sentirsi deboli è uno dei messaggi di maggiore forza che possiamo trasmettere ai nostri figli.
In modo che crescano forti del non avere paura della paura. E della responsabilità.