Ultima modifica 6 Novembre 2015
FILO SPINATO
Su un acceso rosso tramonto,
sotto gl’ippocastani fioriti,
sul piazzale giallo di sabbia,
ieri i giorni sono tutti uguali,
belli come gli alberi fioriti.
E’ il mondo che sorride
e io vorrei volare. Ma dove?
Un filo spinato impedisce
che qui dentro sboccino fiori.
Non posso volare.
Non voglio morire.
Questa poesia è stata scritta da un bambino, ma non un bambino come tanti, allegro e spensierato come i nostri figli…Peter era un bambino ebreo ucciso dai nazisti nel ghetto di Terezin. Quando si parla di campi di concentramento in genere si pensa sempre ad Auschwitz, Birkenau, Dachau.
Il campo di Terezin è meno conosciuto…
Terezin è un villaggio a 60 Km da Praga ed è diventato tristemente famoso perchè fu trasformato in un ghetto dove venivano portati i bambini ebrei prima di essere smistati nei vari campi di sterminio. Ci furono circa 15.000 bambini e persino dei neonati.
Se ne salvarono meno di cento: la maggior parte di essi morì nel corso del 1944 nelle varie camere a gas.
Per fortuna (se di fortuna si può parlare!) ci furono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono a organizzare per i bambini delle lezioni e varie iniziative culturali, anche clandestine. I bambini di Terezin scrivevano soprattutto poesie. Una parte di questa eredità letteraria si è conservata.
Si dedicavano anche alla pittura grazie all’artista Friedl Dicker Brandejsovà. I disegni che si sono salvati fanno parte delle collezioni del Museo statale ebraico di Praga che comprendono circa 4.000 disegni.
Una parte di disegni raffigura la cruda realtà del campo: le caserme, i guardiani, i malati, l’ospedale e a volte anche un’esecuzione.
Ma in fondo erano sempre bambini, che speravano in un futuro migliore e allora si trovano anche disegni di giocattoli, piatti pieni di cose da mangiare o l’ambiente della casa perduta.
Ed è rimasto conservato anche il loro lascito letterario
Petr Fischl, 14 anni, è stato deportato qui, da Praga, nel 1943, in dicembre. Scrive così:
“… Siamo abituati a piantarci su lunghe file alle sette del mattino, a mezzogiorno e alle sette di sera, con la gavetta in pugno, per un po’ di acqua tiepida dal sapore di sale o di caffè o, se va bene, per qualche patata. Ci siamo abituati a dormire senza letto, a salutare ogni uniforme scendendo dal marciapiede e risalendo poi sul marciapiede. Ci siamo abituati agli schiaffi senza motivo, alle botte, alle impiccagioni. Ci siamo abituati a vedere la gente morire nei propri escrementi, a veder salire in alto la montagna delle casse da morto, a vedere i malati giacere nella loro sporcizia e i medici impotenti. Ci siamo abituati all’arrivo periodico di un migliaio di infelici e alla corrispondente partenza di un altro migliaio di esseri ancora più infelici…”.
Anche Petr, dieci mesi dopo, partirà da Terezin. Destinazione Auschwitz.
Oggi è possibile visitare il ghetto di Terezin , trasformato in Museo per non dimenticare.
Guardo i miei figli, che giocano sereni e spensierati e mi sembra quasi impossibile che sia potuta succedere una cosa del genere. E forse per questo il compito di genitori, educatori, è quello di raccontare, di spiegare, per non dimenticare, per educare le nuove generazioni e fare in modo che una tragedia del genere non succeda mai più.
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Così scriveva Primo Levi…