Ultima modifica 14 Gennaio 2020
In questi giorni ho scoperto e letto un libro che mi ha lasciato un’emozione profonda e una sensazione di pace immensa: “In nome della Madre”.
Ho voglia di condividerlo con voi perché parla della storia più conosciuta al mondo, quella di Maria dal momento dell’Annunciazione alla nascita di Gesù.
Lo fa con uno sguardo nuovo che non parla degli aspetti religiosi, bensì di quelli umani, di emozioni, di azione e di coraggio.
In nome della Madre. Due chiacchiere con Erri de Luca
Ho l’onore oggi di poterla approfondire con il contributo diretto dell’autore, il grande Erri De Luca. Persona che stimo moltissimo e al quale rivolgerò qualche domanda, riportando sue citazioni dal testo per aprirle ad una riflessione più ampia.
Due Chiacchiere con Erri de Luca
Il racconto in prima persona, fatto da Miriàm ci mostra il lato più tenero, umano e personale di colei che ha dato la vita.
Come le è nato il desiderio di far parlare Maria di Nazareth?
Il punto di partenza è che per me il Natale è la festa della madre, non del bambino. Miriam quel giorno riesce a portare a termine il compito rischioso e solenne, assunto nove mesi prima con slancio e pura fede. Da quest’ angolo è partita una scrittura che per me è stato ascolto dell’ avventura di una ragazza madre.
In nome del padre: inaugura il segno della croce.
In nome della madre si inaugura la vita.
Questo racconto non ci parla dell’aspetto religioso, ma del grande miracolo del mettere al mondo.
Come ha fatto a descrivere l’attesa, il parto, la maternità nella sua totalità in modo così aderente alla realtà?
Racconto la gravidanza di Miriam che non è ancora salita sugli altari, sta con tutti e due i piedi sulla terra febbrile di Israele.
Racconto le difficoltà dell’ambiente, di una terra sotto occupazione militare, di un monoteismo schiacciato dalla forza militare del politeismo.
Messo a fuoco questo contorno, ho scritto poi da figlio che è stato nove mesi in un grembo materno. Ho preteso di ricordare, ho chiesto a mia madre.
Oggi che lei non vive, non potrei scrivere quella storia.
Lo stupore nel leggere il suo libro è trovarvi uno sguardo diverso rispetto a quello presentato dalla tradizione. Maria che non mostra remissività o fragilità, ma supera con determinazione e coraggio tutti gli ostacoli, la derisione, le accuse.
E’ la prima volta che vedo questo personaggio così attivo, come una ragazza innamorata che vuol realizzare la sua storia d’amore, mi azzardo a dire, come molte di noi. Così lontana dall’immagine iconografica che ci hanno tramandato:
Miriam non è una ragazzina tra le tante. L’ annuncio del messaggero dice: piena di grazia. Non è una virtù estetica, è la consegna di una forza interiore, quella che nei maschi porta profezia. Miriam è rivestita di una energia potente che da lei si sprigiona e coinvolge il suo legittimo sposo.
La figura di Iosèf, compagno che non scaglia la prima pietra e non considera la moglie adultera, ma le crede e la ama, sovvertendo ogni convenzione.
Il messaggio è che oltre i codici, le leggi e le usanze vince sempre la legge dell’amore?
Intanto Iosèf è un ragazzo: nessun vangelo dice che sia anziano, dunque è ben possibile che sia un ragazzo che accetta di credere a Miriam per amore, perché la verità del grembo di Miriam può essere creduta solo per amore.
Per la legge lei è un’ adultera: incinta prima delle nozze e non del suo consorte.
Iosèf sposandola lo stesso, la salva dai sassi della legge.
Poi accetta di essere padre secondo di quel figlio: lo iscrive a suo nome nel registro.
Gesù, Ièshu, sta nella dinastia di Davide perché Iosèf è legittimo discendente di quel re, dal cui ceppo deve provenire il Messìa. C’entra l’amore e c’entra un’ alleanza tra quei due ragazzi che permette il lieto fine di una gravidanza molto ostacolata.
Ho colto nella narrazione un taglio diverso da quello proposto da chi ci ha raccontato precedentemente questa storia: “Miriàm, gli uomini sono buoni a fare qualche mestiere e a chiacchierare, ma sono persi davanti alla nascita e alla morte. Sono cose che non capiscono. Ci vogliono le donne al momento della schiusa e all’ora di chiusura” è davvero un suo pensiero o è il punto di vista femminile del racconto?
Oltre che un mio pensiero, è l’ evidenza della storia naturale e della storia umana. Le donne in tutte le civiltà presiedono alle nascite e alle morti. Qui parla la loro saggezza.
“Non potrai avere niente di più bello bimbo mio. Il respiro di una notte di Kislev scarsa di luna te l’offre la tua terra d’Israele, il succo di madre- pianta lo spremi tu da me. Questo è il meglio che potremo darti, la tua terra e io”.
Nel racconto vediamo che gli uomini sono legati all’importanza delle parole, mentre le donne alla dimensione pratica del fare, che troviamo già nell’azione del partorire e poi nell’immagine della madre come una pianta che nutre e dà sostanza al suo frutto.
Secondo lei sono canoni del tempo di Miriàm o sono ancora validi oggi?
Era una precisa divisione del lavoro tra i due sessi : in ebraico antico “maschio” è la stessa radice del verbo ricordare. Al genere maschile spetta l’ ambito della parola trasmessa, ricordata, custodita. Il maschile offre alla generazione seguente l’ unica eredità alla sua portata, il femminile invece è al governo della vita. Oggi da noi questa differenza è trascurata, ma nella storia sacra di quel tempo era molto marcata. In ebraico i due sessi, si distinguono anche nelle forme verbali, diverse tra il femminile e il maschile.
La poesia dei pensieri di Miriàm rivolti a suo figlio che è ancora in grembo, come ogni madre parla al suo piccolo, presentandogli il mondo nel quale verrà alla luce. Non solo una Maria terrena e umana, ma anche tenera e poetica, come le sensazioni che noi donne viviamo durante la maternità: “Più del giorno ti stupirà la notte. E’ un grande grembo stracarico di luci. Nelle sere d’estate qualcuna si stacca e viene vicino, fischiando. In mezzo a loro passa una via bianca, un siero di latte, quando lo vedrai vorrai succhiarlo. Pensa che io sono una di quelle luci e intorno a me c’è un ammasso di altre. Così è la notte, una folla di madri illuminate, che si chiamano stelle: di tutte loro, solo io la tua. A guardarle fanno spalancare gli occhi e allargare il respiro”.
Le madri parlano ai loro figli in grembo e fanno bene, la creatura è al centro del loro corpo, sa il mondo già prima di nascere attraverso voci e anche chiarori filtrati dalla pelle e dalla placenta.
I pensieri di ogni mamma in attesa, che si sente come un “recipiente”, lo stupore di scoprirsi così vicini a Miriàm, come mai avevo sentito primo d’ora.
Lei che, come ogni madre, vuol proteggere il suo cucciolo e il rapporto esclusivo costruito con lui fin dal grembo, prima di consegnarlo al mondo. Con questo racconto, è come se ci aprisse l’accesso ai suoi pensieri più segreti:
Occupa tutto il mio spazio, non solo quello del grembo.
Sta nei miei pensieri, nel mio respiro, odora il mondo attraverso il mio naso.
Sta in tutte le fibre del mio corpo. Quando uscir mi svuoterà, mi lascerà vuota come un guscio di noce. Vorrei che non nascesse mai.”
Prima di questo, avevo scritto in una pagina dedicata a mia madre: “Sono sgusciato dalla tua pienezza/ senza lasciarti vuota/ perché il vuoto l’ ho portato con me”.
Ci vuol dire due parole sulle due emme che sono in questo libro?
La prima in copertina che sembra gonfiata dal vento, come incinta e l’altra in fondo al libro chiusa. In ebraico alcune lettere hanno una forma diversa se si trovano in fine di parola. Succede alla emme, la “mem” che è a forma di grembo con un’apertura verso il basso. Ma quando è lettera finale diventa sigillata, chiusa. Ho riportato in copertina la “mem” aperta e sul retro la chiusa. Tra un’apertura di grembo e una chiusura si svolge la storia di Miriam e suo figlio.
Ho letto che ha portato questo testo a teatro, ha trovato una Miriàm che esprimesse questa intensità di pensiero e di azione?
Sara Cianfriglia è stata convincente al primo ascolto.
Quando iniziammo la prima serie di rappresentazioni era ragazza. Nelle successive aveva un figlio. Mi fa piacere credere che le parole che ha voluto fare sue sulla scena, la prima volta, le hanno schiuso il grembo, come un annuncio fatto a se stessa.
Mi è stato consigliato questo libro quando è morta la mia mamma esattamente un anno fa. Questa intervista è preziosissima. Grazie Fede, sei bravissima :D!
Grazie a te Simonetta, sei gentile!Spero di trasmettere un po’ della passione che ci metto. Appena ho finito il libro ho pensato subito di regalarlo alle donne della mia famiglia a cui voglio bene, zia, nonna, cugina. Lo considero un grande dono e spero lo sia anche per te!
E a me è stato regalato prima di partorire la mia terza figlia. Quanta fiducia e luce mi ha regalato questo racconto…
Che regalo dolce che ti hanno fatto Mammamari!:-)
Brava Federica, bella intervista. Questo è un libro che leggerò sicuramente, rinunciando alle mie amate letture per l’infanzia, almeno per qualche sera:).
Ti ringrazio Graziana, se lo leggerai fammi sapere cosa ne pensi e se ti avrà emozionato!Un bacione!:-)