Ultima modifica 27 Gennaio 2016
Grossman è il mio scrittore preferito da quando ho letto “Che tu sia per me il coltello” e aspettavo con impazienza un suo nuovo libro. Appena è uscito l’ho letto subito, tutto d’un fiato, senza riuscire a staccarmene, ma poi ho sentito il bisogno di farlo sedimentare dentro di me e far sì che l’eco di questa storia non emettesse tutto quel rumore.
Visivamente l’ho immaginato come uno squarcio di lama su una tela, un grido di rabbia a più voci che trova consolazione nella dolcezza della poesia. Solo chi ha fatto il pieno di dolore fino a impazzire, solo chi ha toccato il fondo può capire. Parla della sofferenza più lancinante al mondo, del fatto più innaturale che possa succedere: la morte di un figlio.
La narrazione inizia con la figura di un padre che saluta la moglie per andare laggiù, ovvero nel pozzo buio che ha risucchiato il figlio, quell’altrove irraggiungibile che è il luogo della commovente ricerca di una spiegazione irrazionale. Al vagabondare di questo padre verso il confine con la terra dei morti, si uniranno, come nodi di una lunga corda, molti altri genitori, ognuno con la propria storia di frattura e perdita. Fra tutti spicca la voce narrante del Centauro, che per metà ha il corpo di una scrivania e che vive immerso nella staticità dei ricordi del figlio scomparso. Questa figura affida e riconosce alla scrittura il potere salvifico delle parole che, messe nero su bianco, lo alleggeriscono dell’angoscia e gli permettono di capire la portata dell’evento che gli è accaduto.
La presenza più ingombrante che riempie le pagine del libro e la vita dei vari personaggi è l’assenza.
“E’ morto in agosto, e quando
quel mese
finisce io
immancabilmente penso: come posso
passare a settembre
mentre lui rimane
in agosto?”
C’è chi reagisce arrendendosi all’evidenza, salvato soltanto dall’istinto di sopravvivenza che, con inerzia, porta ad andare avanti. C’è chi si rifugia nei ricordi e ripercorre i momenti passati insieme, fino a credere di poter cambiare il finale e veder materializzato davanti a se’ il figlio amato scomparso. C’è chi non trova pace e continua a chiedersi: “Perché?” e “Perché proprio a me?” Purtroppo non ci sono risposte, ma Grossman lascia la scena alla magia della poesia che meglio attraversa e veicola le emozioni, incitando a vivere pienamente del tempo che rimane:
….”Presto, assapora
tutto, divora, sii profondo,
triste, deciso, delicato,
ruggisci,
fremi di piacere e di forza,
il mio piacere è il tuo, e anche il mio vigore.
Incanta, spargi la tua anima,
come fa il seminatore
con una cascata di chicchi…
sii monete d’oro scroscianti
e rilucenti,
sii turgido come una mammella,
infuocato
come il sole di mezzogiorno,
e infuriato, ribollente di collera
stringi la mano a pugno fino
a che le vene del collo ti si gonfieranno,
e sii tenero, come un cuore, come una ragazza,
sii aperto, sensibile, illuminato
dallo splendore prodigioso
dell’unicità,
frammento completo, momentaneo
di eternità”
Ho camminato a fianco dei vari personaggi e ascoltato i loro monologhi e dialoghi strazianti fino a capire che l’unica possibilità che rimane è riappropriarsi dei ricordi e dargli voce, senza che questi sfumino nell’oblio, offuscati dal dolore. Così la levatrice, il Duca, il ciabattino, l’insegnante di matematica, la riparatrice di reti da pesca e lo scriba esplorano i meandri delle ferite subite fino ad arrivare al limite della sofferenza, accettare l’amara consapevolezza di sentir viva la morte e provare la necessità di prenderne le distanze, per non farsi distruggere totalmente e tentare, in qualche modo, di continuare a vivere:
“…e non sapevo, non fino a tal punto,
che la vita, nella sua pienezza,
è presente
solo lì, su quella linea
di confine…”
E’ un libro intenso, struggente, che mi ha fatto arrabbiare e piangere, poi mi ha fatto sentire il bisogno di prenderne le distanze e infine di riprenderlo, abbracciarlo e accoglierlo.
Mi ha conquistato la totale immedesimazione dell’autore nei personaggi così intensa da farmi venire il sospetto che ci fosse qualcosa di attinente alla sua esperienza reale. Infatti, ho scoperto che Grossman ha vissuto questa tragedia in prima persona, perdendo il figlio Uri, durante la guerra israelo-libanese nel 2006 e che aveva deciso di chiudersi in un silenzio letterario, rotto da questo libro per dar voce alle parole e liberarsi dalla staticità del dolore.
Titolo: Caduto fuori dal tempo
Autore: David Grossman
Editore: Mondadori
Data pubblicazione: 2012
Pagine: 183
Prezzo: 18,50 €
Voto: 4 stelle su 5
Federicasole
Bellissimo commento. Si vede che il libro ti è piaciuto. Anche a me Grossman fa un effetto simile. I suoi libri mi scuotono profondamente e poi, prima di scriverne, ho bisogno di farli sedimentare. Lo leggerò sicuramente, forse non subito visto quello che mi aspetta
Nella sua tragicità deve essere un libro bellissimo, un libro che regala qualcosa, che emoziona…lo leggerò sicuramente, grazie!!!
Grazie Polimena, sì condividiamo la stessa passione per questo scrittore così intenso!In questi giorni ho preso uno dei libri che mi hai consigliato, non vedo l’ora di leggerlo, è dell’altro scrittore israeliano di cui mi parlavi.
Grazie Moky, sì è forte come argomento, lo addolcisce la forma della poesia!:-)
Tematica molto delicata… Un libro che, ne sono certa, tocca le corde del cuore… Il libro mi è del tutto nuovo, l’autore lo conosco solo di fama ma non ho ancora occasione di leggere qualche cosa di suo.
L’autore merita, è il mio preferito in assoluto, per come entra nel vivo della profondità del sentire. Grazie Stefania!
Quando leggo Grossman è un casino perchè mi immedesimo talmente nelle storie, nelle emozioni dei suoi personaggi, che poi uscirne per vivere la mia normale vita mi risulta difficile. Da come ne scrivi anche questa sua opera mi piacerà, devo solo scegliere bene il momento in cui affrontarlo.
è anche il mio autore preferito. e appena finito quello che sto leggendo sicuramente lo scaricherà e lo leggerò anche io. grazie della bella recensione.