Ultima modifica 22 Aprile 2015
In questi giorni sto seguendo la rassegna cinematografica dedicata ad Alberto Sordi su Sky, in particolare i primi film della sua carriera fino a ieri sera con Bello onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata di Luigi Zampa e Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy. Un cinema in poche parole girato prima che io nascessi.
Ricordare, pertanto, un attore che stato il più grande e più popolare (a mio parere il più geniale), protagonista del cinema italiano, non vuole essere, a 10 anni della sua morte, un atto dovuto alla memoria dell’ uomo e dell’artista, ma il tentativo di riconsegnare l’attore e i suoi personaggi alla storia del cinema italiano, meglio alla storia della società italiana all’indomani del secondo conflitto mondiale, ad un’Italia che guardava alla sua ricostruzione, a come uscire dalle macerie della guerra e ad inserirsi nel novero delle nazioni più civili e sviluppate. Ecco perché ho voluto chiedere a mio padre, che ha visto quasi tutti film, che cosa ne pensasse di Sordi.
La risposta non si è limitata soltanto a celebrarlo come un grande attore, ma è stata una lunga analisi dei personaggi che egli ha interpretato nel corso della sua vita cinematografica. Nel cinema di Sordi c’è l’Italia con i pregi e con i difetti, con i molti vizi e le poche virtù della gens italica, dell’italiano comune. E nella galleria dei suoi personaggi le maschere ci sono tutte.
Ad intuirne il talento, a cogliere queste sue capacità fu un grande regista come Federico Fellini (l’estro era una dote di entrambi), che lo chiamò a recitare in quelli che possono essere considerati i due classici della cinematografia sordiana (Lo sceicco bianco e I Vitelloni).
I piú lo ricordano per la sua vena ironica ma anche quando faceva dell’umorismo, ti spingeva sempre a pensare.
Perché, come diceva lui stesso “pe’ scherzá bisogna esse seri!”
Rachele Masi