Ultima modifica 27 Gennaio 2016
Vicini alla festa della donna vorrei parlarvi di una storia che mi ha colpito moltissimo e che ha per protagonista proprio un gruppo di donne.
E’ un racconto che arriva come un pungo nello stomaco, raccontata dall’autrice attraverso una voce collettiva così intensa da far arrabbiare, piangere e sdegnarsi. Si tratta delle vite di migliaia di donne giapponesi, che all’inizio del Novecento, vengono fatte salire su una nave verso l’America, come promesse spose agli immigrati loro connazionali. La più piccola ha dodici anni e la più grande trentasette.
Sono tutte unite, in questo viaggio della speranza, dal desiderio di trovare ad attenderle nella nuova terra un marito e una vita migliore.
Il flusso di pensieri corali di queste ragazze si insinua profondamente nella mente di noi lettori fino a portarci dentro le loro aspettative sul futuro, rappresentate da quella foto del marito che stingono fra le mani e dal sogno di una casa americana, lontano dalla famiglia e dalle risaie giapponesi. Oltre alle confidenze durante il viaggio, le ragazze, rimarranno un’unica voce unita anche dopo essere sbarcate in America, nel racconto della loro prima notte di nozze, della nascita dei figli, del lavoro nei campi e nel percorso di integrazione in un nuovo paese.
Scopriranno una vita piena di fatica, dolore e sacrificio, lontana dalle aspettative iniziali, fino all’arrivo della guerra, con l’attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare le persone di origine giapponese potenziali nemici e chiuderle nei campi di lavoro.
“Ci buttammo nel lavoro e diventammo ossessionate dal pensiero di strappare ancora un’erbaccia. Mettemmo via gli specchi. Smettemmo di pettinarci. Ci dimenticammo di Budda. Ci dimenticammo di Dio. Sviluppammo un gelo interiore che a tutt’oggi non si è ancora sciolto. Ho paura che la mia anima sia morta. Smettemmo di scrivere a nostra madre. Perdemmo peso e dimagrimmo. Smettemmo di avere il ciclo. Smettemmo di sognare. Smettemmo di desiderare. Lavoravamo e basta. Trangugiavamo i pasti tre volte al giorno, senza dire una parola ai nostri mariti, per poter tornare subito nei campi…..Cucinavamo per loro. Pulivamo per loro. Li aiutavamo a spaccare la legna. Ma non eravamo noi a cucinare, pulire e spaccare, era qualcun altro. E spesso i nostri mariti non si accorgevano nemmeno che eravamo scomparse.”
E’ un libro pieno di nostalgia e dolore, che vuol dare voce alle donne, alla profondità dei loro sentimenti, delle loro vicissitudini e pensieri. Ci fa entrare nella testa e nel cuore di queste giovani, come se fossimo ospiti che ascoltano, in un angolo, le loro confidenze più segrete. Partite come vergini e promesse spose, una volta arrivate in America si accorgeranno di essere state ingannate dai loro mariti, più vecchi di venti anni rispetto alla foto e diventeranno una schiera di formiche lavoratrici, devote e silenziose.
“Ci presero con grugniti. Ci presero con gemiti. Ci presero con urla e lunghi lamenti protratti. Ci presero pensando a un’altra donna – lo capimmo dal loro sguardo perso in lontananza – e poi ci maledissero quando non trovarono il nostro sangue sulle lenzuola. Ci presero con goffaggine, e noi non ci lasciammo più toccare per tre anni. Ci presero con una maestria che non avevamo mai conosciuto, e capimmo che li avremmo desiderati per sempre. Ci presero mentre gridavamo di piacere e poi ci coprivamo la bocca per la vergogna. Ci presero rapidamente, più volte e per tutta la notte, e il mattino dopo appartenevamo a loro.”
Capiranno di essere state vendute dalla famiglia d’origine non in vista di una vita migliore, ma per la necessità economica di sopravvivere.
“Se torni a casa, ci avevano scritto i nostri padri, recherai onta all’intera famiglia. Se torni a casa, le tue sorelle minori non si sposeranno mai. Se torni a casa, nessun uomo ti vorrà più. – E così restavamo a Japantown con i nostri nuovi mariti, e invecchiavamo prima del tempo.”
A queste ragazze viene chiesto di essere invisibili, instancabili e vivere all’ombra di giardinieri o contadini, non bancari come avevano promesso che le obbligano di volta in volta ad essere lavandaie, prostitute, cameriere, amanti clandestine con gravidanze indesiderate, lavoratrici di campi a condizioni peggiori di come facevano in Giappone nelle loro risaie.
Attraverso questa storia così estrema, che descrive soprusi e discriminazioni di ogni tipo sulle donne, voglio ricordare tutti tipi di maltrattamenti fisici e psicologici che, purtroppo, ancora oggi avvengono ai danni del genere femminile. Non importa da quale paese veniamo o dove viviamo, il messaggio è di denunciarli e non accettarli mai. Che la voce corale ci unisca nella lotta contro la violenza, la non considerazione o il ricatto psicologico verso un riconoscimento veramente paritario.
Titolo: Venivamo tutte per mare
Autore: Julie Otsuka
Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 140
Prezzo: 13 €
Federicasole
Grazie Laura, vengo subito a vedere di cosa si tratta!
Lo leggerei molto volentieri. Seppur dolorosa, una lettura così sono convinta che non possa che far bene se non altro per prendere consapevolezza di determinate situazioni che crediamo troppo lontane a noi ma che, a ben pensare, ci toccano da vicino in quanto donne, madri, mogli, compagne…
Sì, Stefania, hai colto il punto essenziale di questo libro: darci consapevolezza delle storie di altre donne, per sentirci più vicine.