Ultima modifica 5 Maggio 2013
Dalla prima elementare (si chiama scuola primaria, ma “elementare” ha un suono semplice che mi piace ancora) vedi plasmarsi il carattere dei bambini e scopri in modo sempre più profondo le caratteristiche di ognuno. Non è facile da spiegare. Tu gli insegni a maturare, ad essere consapevoli e autori del proprio cammino…e loro ti ascoltano, capiscono quale verso c’è da prendere…ma mantengono il loro carattere, i loro modi di fare e di chiamarti che avevano già in prima.
Ognuno dice “maestra” in un modo diverso e tu, quando ti chiamano, li riconosci anche se hanno la faringite e due anni in più.
Certe volte succede che un bambino ti colpisce per la simpatia, un altro perché non sta zitto un attimo, ma ha una proprietà di linguaggio che ti spettina; uno perché a metà lavoro ancora si alza e viene da te e si appoggia alla spalla, come quando aveva sei anni, un’altra perché ha una responsabilità non comune per la sua età…
Ecco, io voglio parlare di un bambino speciale (come tutti) ma speciale a modo suo.
Un bambino che il prossimo anno cambierà scuola e ogni giorno che passa sento più forte lo strappo che si avvicina. Perché è uno strappo.
Capita spesso che un bambino cambi scuola, che arrivi o che se ne vada.
Però stavolta mi sembra più dura…
Perché ne parlo? Perché è un bambino italiano nato da genitori non italiani.
Un bambino che mi ha provato giorno dopo giorno che la dignità e la responsabilità nel fare il proprio dovere non hanno nazione, né razza, né religione.
Una maestra questo lo sa già per principio…però vederlo ogni giorno con i propri occhi è veramente un timbro sul cuore. Un bambino che non ha mai saltato un compito, un bambino che è venuto a scuola con la febbre, consapevole di averla, solo perché non voleva perdere una lezione.
Un bambino che ogni giorno fa crescere come un fiore la sua seconda lingua: l’italiano.
Vuole capire e chiede significati sempre più complessi con la curiosità di un gatto.
E con grande fatica… perché, a casa sua, l’italiano non si parla molto.
I suoi occhi neri sono puntati ad ascoltare come se bevesse alla fonte.
E tutto ciò senza che nessuno gli dica niente. Quando alza la mano sembra un fulmine e i suoi occhi brillano…ma ha imparato a non rubare la parola e non se l’è più scordato.
Sembra proprio che un altro modo di fare non lo conosca.
Bravi papà e mamma, due persone che della dignità hanno fatto la loro ragione di vita in una realtà che gli regalerà sempre poco. E forse per questo hanno insegnato al proprio figlio che l’importante è fare sempre il proprio dovere…a qualunque costo.
E i compagni conquistati. Una persona leale si riconosce dagli occhi dritti e si sente a pelle.
Lui non vorrebbe andarsene, perché in questa scuola ha costruito il suo sapere e perché ha incatenato amicizie grandi…però deve andare via.
Ogni tanto gli scappa “Tanto il prossimo anno non ci sarò” guarda in terra due secondi e poi si rivolge ai suoi amici per proseguire altri discorsi.
Una prova di vita che, spero tanto, lo renderà più forte. Beh, il suo “Maé “ mi resterà nelle orecchie per molto molto molto tempo.
Al giorno d’oggi certe cose non si possono dare per scontate. E credo che le sue future insegnanti saranno fortunate.