Ultima modifica 12 Febbraio 2021
20 Agosto, pomeriggio sonnacchioso.
Apro la mia mail e trovo un messaggio di un mio alunno che dice:
“Maestra come vedi, la mia calendula è fiorita. Un saluto”… con una foto meravigliosa di un vasetto nero pieno di foglie, con uno sparuto bocciolino giallo appeso ad un lunghissimo gambo.
E, scusate se mi hanno definito “maestra fontana”, mi sono commossa per tanti motivi: d’estate, in piena vacanza, quel bambino ha visto il fiore e ha pensato al nostro lavoro fatto 3 mesi prima. Ha curato la sua pianta per così tanto tempo; ha pensato a me che non ho fatto altro che dirgli ogni giorno “La natura non finisce mai”; ha ritenuto importante dirmi e farmi capire che “ha capito”.
1 messaggio su 42? Per me è una soddisfazione che non si può neanche spiegare a parole…ho come la sensazione di aver contribuito ad accendere una fiammella che non si spegnerà facilmente.
E non ci crederete ma basta questo per ricominciare ad insegnare impegnando di nuovo anima e cuore.
E’ questo il senso dello stare lì, in mezzo a loro, crescendo con loro…
Viaggia nel web una frase meravigliosa che dice “Insegnare è toccare una vita per sempre”.
Io credo che il mio piccolo alunno non si dimenticherà mai della sua calendula e forse ricorderà che una cosa cresce se uno ne ha cura.
E io mai mi dimenticherò di lui e del suo “telegrafico” e significativo messaggio.
Forse è questo il punto d’incontro tra un insegnante e un bambino.
Dietro a questa soddisfazione c’è, in fondo, una realtà che io, da maestra, non affronto apertamente…ma ne parlo tutti i giorni con me stessa: l’insicurezza.
Non è l’insicurezza nel lavoro quotidiano.
Io so ciò che voglio e dove voglio arrivare.
Il mio problema è che non sono sicura di riuscire a fare in modo che il seme messo a dimora a scuola fiorisca anche fuori, lontano dalle verifiche e dagli esercizi.
Gli obiettivi che mi prefiggo in genere sono molto alti: non mi basta il fare.
I bambini devono capire il perché fanno e sentire veramente che la loro azione non è fine a se stessa.
Ogni lavoro fatto a scuola, ogni parola detta, ogni discorso è vita, non una recita in cui non devo dimenticare le parole.
Ecco, la mia insicurezza sta in questo: ho paura che i bambini si limitino a fare una meravigliosa verifica senza trarre dal loro “fare” competenze concrete che servano per la vita.
Voglio che capiscano che dietro ad ogni obiettivo raggiunto c’è un ventaglio di competenze spendibili che si apre nel loro futuro per non rompere mai la catena del progettare e dell’imparare anche senza maestra.
Piantare un seme in un vaso serve a far nascere un fiore e poi a conoscere quel nuovo fiore, ad interiorizzare l’importanza della costanza nella cura delle cose e dell’attenzione alla vita in genere.
E la soddisfazione stavolta ha vinto l’insicurezza.
Ciò che abbiamo fatto insieme a scuola è uscito da quella porta “sgangherata e cigolante” ed ha portato quel bambino a raggiungere l’obiettivo che io volevo raggiungesse: la calendula non è stata più il vasetto da portare a casa, ma un modo di essere.
E’ uscita dalla scuola ed è arrivata perfino a casa mia…ad insegnarmi che il mio lavoro ogni tanto ha un senso.