Ultima modifica 18 Giugno 2018
C’è una cosa che più di tutti mi ha buttato giù durante tutto il percorso di abortiva vissuto fino ad ora. La sfiducia nei miei confronti, soprattutto quando proveniva da chi era più vicino e poi da chi mi curava.
Le persone che ti sono vicino e le persone che hanno il compito di aiutarti da un punto di vista medico, sono i soggetti fondamentali per una donna che vive un aborto. I momenti che più ricordo con maggiore tristezza sono stati senza dubbio quelli in cui mi sono sentita abbandonata.
E’ vero che in molti casi non è facile essere vicino a chi si chiude nel dolore, ma in certi casi, in passato, io ho dato per scontato questa vicinanza dai soggetti sopraindicati, proprio per il rapporto che avevo con loro. E ho sbagliato.
Tralascio per ora la questione amici-parenti e via discorrendo, per la quale rimanderei ad una puntata “speciale”, e mi soffermo su quanto è importante la vicinanza di un medico che, visto l’argomento, dovrebbe essere preparato per affrontare la questione, non solo da un punto di vista medico ma anche psicologico. Invece no. Invece la consuetudine è ritenere che si abbia bisogno di approfondimenti medici solo dopo il terzo aborto.
A me è accaduto così. A me è accaduto di avere degli aborti spontanei all’inizio della gravidanza.
Al primo test positivo non fai caso, non fai analisi del sangue, il ciclo arriva, e ti dici che il tuo corpo si sta preparando. Manco lo dici al dottore. Il secondo sei inesperta, le analisi le fai pure e mica lo sai come dovrebbe andare l’andamento delle bhcg. E le bhcg crescono, poi ad un certo punto decrescono. “Lasci che sia” senza porti domande. Ti affidi ai medici, e i medici ti dicono che “un’interruzione di gravidanza è un fatto piuttosto comune ormai nel primo trimestre, che alla prossima andrà bene”. E tu ci credi. Oh cavolo come ci credi. Te lo dici il medico, chi sono io per affermare il contrario. E’ quell’ “ormai” messo in mezzo alla frase che ti puzza, ma vai avanti.
E inizia così quel processo che ti porterà ad incolpare prima te stessa per quello che ti sta succedendo, quel processo che poi negli anni impari a smantellare pezzetto per pezzetto, con tanta fatica, tanto dolore, tanto lavoro su se stessi. Sei tu il primo medico di te stesso e questo lo impari solo dopo. Intanto vai avanti e aspetti.
E allora il terzo test di gravidanza positivo.
E allora stavolta sei preparata, preparatissima. E le bhcg sono positive. E poi arriva di nuovo il ciclo. E quindi chiedi una spiegazione, vuoi un approfondimento, vuoi comprendere, perché tu lo sai che non è casualità, c’è qualcosa che non quadra e non è possibile che le cose sono normali. Si incrina quel rapporto con il tuo corpo e il tuo cuore, ancora di più. Comincia quel processo lento che ti logora da dentro. E ti senti sola, smarrita. Alle tue domande, ti senti rispondere che si farà un esame alle tube, e tu, ignorante in materia ma ancora con un po’ di logica in testa, ti chiedi come mai, visto che il concepimento è l’ultimo dei tuoi problemi. E ti senti rispondere che le tue gravidanze non sono mai esistite, che non sono gravidanze, perché troppo iniziali.
Ma allora cos’erano? Perché io “li ho sentiti da subito”, io lo so che significa essere in gravidanza e non esserlo, la differenza ho cominciato a capirla. Eppure non ti credono.
Poi dici basta. Tu hai fiducia in te stessa e ora ti rendi conto con terrore che sei l’unica ad averne.
Quando si incrina il rapporto di fiducia con il proprio medico è un disastro.
Il tuo medico è il tuo appiglio razionale. E’ il ponte che ti deve portare alla soluzione, all’obiettivo. Non è mica il Padre Eterno, questo lo sai. Per questo ci pensi tu, scomodandolo tutte le sere durante la preghiera.
Ma quella è la parte irrazionale. Lascia stare dottore, a quella ci penso io. Tu pensa ad altro. E quando non ci pensa è un casino, perché va bene essere medici di se stessi, ma non ci si improvvisa dottori con quattro blogs, sette forums, e venticinque articoli su una rivista di medicina (io sono arrivata anche ad abbonarmi ad una rivista di medicina, ma questa è un’altra storia).
Durante tutta la mia lunga storia, ho aiutato donne e incoraggiato a fare esami di approfondimento, che nessuno aveva mai prescritto loro.
Ci sono donne che arrivano alla procreazione assistita senza fare un’isteroscopia all’utero. O altre che non fanno i classici esami del sangue per la poliabortività: poi grazie alla PMA riescono a concepire e magari perdono il bambino perché non sapevano di avere un fattore di rischio abortività.
Ci sono donne che non fanno il cariotipo genetico dopo i tanti aborti o anni di infertilità e poi scoprono di avere una malattia monogenica, superabile con una diagnosi preimpianto.
Ci sono donne a cui non viene detto di fare le analisi per la fibrosi cistica, e poi scoprono di essere portatrici solo in gravidanza (ma mi dite che senso ha??).
Ci sono donne che non sanno che una semplice cura per la coagulazione può salvare il proprio figlio.
Ma è colpa nostra?
Quando inizia e da dove inizia il ruolo che il medico ha nei confronti di una donna che comunica di volere un figlio ?
I fattori di rischio negli anni sono cresciuti. L’innalzamento dell’età in cui si decide di avere un figlio, lo stile di vita, il fumo, la non dieta, gli scarsi controlli pregressi. Dobbiamo davvero iscriverci alla facoltà di medicina per concepire? Sta a noi approfondire così tanto gli argomenti per ricercare quell’appiglio razionale?
A me è stato detto che le mie gravidanze non sono mai esistite, e me lo ha detto una donna. Io, in conseguenza di questo, ho avuto dei seri attacchi di ansia. Ricordo che non respiravo e che mi sentivo morire.
Poi ho trovato un dottore che mi ha preso per mano e non mi ha lasciato più. Io ho studiato, ma la causa noi, cioè io, mio marito e il mio medico, perché, come mi dice sempre lui “siamo in tre a lavorare!”, non l’abbiamo trovata. Nonostante tutto.
Oggi ho bisogno di nuovo di quella fiducia. Nonostante le avversità. Ho bisogno di nuovo di essere presa per mano, come quella volta. Alla parte irrazionale penso sempre io, ancora di più.
Ora cerco di ricostruire quel ponte di razionalità che in tutto questo tempo, dopo gravidanze extrauterine, aborti e pma fallite, si è interrotto e ha rischiato di farmi cadere giù.
Una fiducia da ricostruire, per credere di potercela fare ancora.
Perché la mente può tutto. E il cuore pure.
Anna