Ultima modifica 20 Giugno 2019
“I bambini insegnano”: tanta filosofia in quest’affermazione, ma in pratica?
Per me è facile spiegare cosa ho imparato e cosa sto ancora imparando, ma posso farlo ora in quanto ne ho la certezza, perché mi hanno cambiato non solo il modo di guardare la realtà, ma anche il modo di lavorare.
Mi hanno insegnato il rispetto profondo per le piccole persone che sono.
Non dicono mai sciocchezze. Noi non li capiamo spesso, mentre loro ci capiscono anche quando stiamo in silenzio.
Quante volte, anni fa, mi è capitato di essere concentrata “sulla mia lezione” e di dire a un bambino: «sì, ok, ne parliamo dopo. Ora vai a posto dai». Oggi, mi rendo conto di quante occasioni ho perso di insegnare diversamente e conoscerli veramente. Se ci ripenso…
Come facciamo a dire “non ascoltano” se noi non li ascoltiamo con la dovuta attenzione o non li facciamo parlare? Perché loro se ne accorgono se uno li guarda senza ascoltare. Mi hanno insegnato anche questo. Fare finta non è onesto.
Ascoltarli per davvero, invece, è bellissimo e appagante: stare lì a guardarli mentre tentano di arrivare in fondo ai loro discorsi, lasciando da parte la fretta, capire le loro intenzioni, le loro scoperte attraverso linguaggi particolari e stupendamente semplici, sentirli spiegare osservazioni con paragoni impensabili ma perfettamente calzanti.
E i bambini maestri continuano a insegnare.
L’altro giorno lavoravamo sulle moltiplicazioni e divisioni per 10,100,1.000.
Due ore di lavoro, un andirivieni di battute, “Non ho ancora capito” “Ok, le rifacciamo insieme” “Io ho capito chi posso aiutare?” Vicini, alla lavagna, a gruppi di tre, quattro: chi capiva schizzava a posto per scrivere ciò che aveva capito. Sembrava di essere in una stazione ferroviaria. Ma, in fondo, non è che lo stare immobili dia la chiave per la comprensione. Parlavano tra di loro, si “insegnavano” a vicenda le loro scoperte.
Una bambina lì, ferma con la testa sul foglio. Non triste, non preoccupata, ma guardava il suo quaderno. Una compagna le si avvicina e lei comincia a parlare, mentre l’altra le fa cenno di sì.
Si sono intrecciati almeno 4 modi di capire, chiedere, cercare, imparare.
Erano presi, vivaci, trottole matematiche. E chisseneimporta? Va bene così.
Ma ho la testa sulla bimba: non sono sicura abbia compreso, perché le maestre che hanno visto tanti bambini pretendono a volte di “riconoscere un tipo di bambino” col suo “tipo di apprendimento”, facendo lo spaventoso errore della presunzione.
Suona la campanella. Tutti fuori a prendere le merende. Tra i bambini che si muovono, la bambina “concentrata” viene dritta verso di me: «Maestra ma, allora, se moltiplico per mille 0,1, vuol dire che quell’1 diventa 100 e la virgola cade perché resta sola dopo le unità». Io la guardo con gli occhi spalancati e felici e le dico: «Sì»e lei «Eh, allora ho capito come funziona». E con un sorriso di soddisfazione, quasi spiritoso, si gira e va a giocare, forse più serena. Lei cresciuta. Io ho imparato più forte che non si deve mai dare niente per scontato. Loro sono unici, tutti.
Non si sono sentiti gli errori come tali, ma semplicemente come tentativi di risolvere un problema. Non ho visto nessun bambino mortificatom, pur sbagliando anche 10 volte. Andare avanti per tentativi ed errori, lasciare i bambini liberi di fronte ai problemi, lasciare loro il tempo di confrontarsi, funziona. Scoprire insieme le conoscenze e arrivare al saper fare con l’aiuto di tutti funziona.
“Il progettare insieme … ” è fondamentale nella scuola.
“Le cose trasmesse sono appiccicate e non vanno ad arricchire” .
“Il passare dall’attività individuale mirata al voto ad una motivata da una finalità comune è un passaggio difficilissimo e importantissimo di grande valore psicologico…”.
Sono tutte frasi di Mario Lodi che, purtroppo, ci ha lasciati il 2 marzo scorso. Vi invito a “perdere” mezz’ora di tempo per vivere in classe con lui, qui.
E chi avesse voglia di farlo, c’è qui una bellissima lettera scritta dal maestro Lodi ai maestri e alle maestre e pubblicata il 13 settembre 2010 in Education 2.0.
Studiare il grande Mario Lodi, leggere i suoi meravigliosi libri, tra cui il conosciutissimo CIPI’, è stato sicuramente una grande ispirazione, ma scoprire che ha avuto, e per me sempre avrà, ragione, questo me lo hanno insegnato i bambini. Evidentemente, lui li conosceva bene.