Ultima modifica 24 Agosto 2016
Cercare un bambino per chi “diversamente fertile” si lancia in questo sogno, diventa un’attività a tempo pieno, ovvero h 24.
Ben inteso, non è che uno si metta lì e provi “fisicamente a farlo” tutto il dì.
Nessuno possiede tanto tempo a disposizione. È l’dea che hai di lui, la voglia di concepirlo che pervade in modo totalizzante tutto il resto. Se ce ne rimane, di resto. Ventiquattrore su ventiquattro, notte e giorno, h ventiquattro, appunto.
E mentre cuoci il pollo, togli lo smalto, cuci il calzino, mentre parli con tua zia, mentre ti lavi i capelli, il suo pensiero è sempre lì. Fisso, costante, permanente. Te li vorresti strappare tutti quei capelli, uno a uno, fino ad arrivare a staccarti la testa, poggiarla sul comodino, per rimetterla al suo posto più tardi, sperando che la goccia cinese, che ti scava il cervello, smetta di gocciolare anche per solo pochi minuti.
Quando la voglia di fare un figlio esonda i margini delle tue rive, inonda tutto, straripa.
All’inizio credi che basti amarsi per concepire, poi pensi che forse ci voglia una spintarella da parte dei signori Ogino Knaus (quelli che hanno studiato il metodo che calcola il periodo di più alta probabilità fecondativa) così tanto per essere un tantino più sicuri che tutta l’attività non sia solo divertente, ma proficua. Dopo che neanche lo sprone dei due produce alcun effetto, viene la volta delle analisi. Poi, segue quella dei monitoraggi, dell’’acido folico, delle ecografie, della stimolazione dei buchi sulla pancia, dell’incertezza. E non è che una non abbia proprio niente da fare nel frattempo, anzi. E mentre le altre rimangono incinte solo guardandosi con i rispettivi compagni e tu declini inviti a feste con mamme e bambini, mentre ricacci indietro quei due tre litri di lacrime che ti rimangono, appiccicate agli occhi, impastoiate insieme all’eye-liner, combatti contro l’istinto di non vomitare addosso all’ennesima persona che ti dice che in queste cose lo stress è fondamentale e che non appena ti rilasserai, rimarrai incinta.
Questo avviene nell’arco delle dodici ore a disposizione per vivere la propria vita, mentre le restanti altre dodici si usano per rigirarsi nel letto, pensando alle dodici appena trascorse senza che sia successo nulla. H 24, appunto.
E mentre l’idea di tuo figlio continua a rosicchiarti la testa che non sei riuscita a riporre sul comodino, devi comunque andare avanti. Organizzare le vacanze, incastrarle tra le analisi, le stimolazioni e i prelievi. Fare la spesa. Mangiare, bere, sopravvivere a una vita così vuota che, al confronto, i buchi neri sono pozzi di vitalità. Devi comprare cose che non ti servono a niente, perché non ti serve nulla che non sia lui; devi evitare di fare delle figuracce con gli amici più cari, fare cose che non ti sollevano, dire cose che non ti appartengono, devi fare, baciare, lettera, testamento.
È un’attività a tempo pieno quella di cercare un bambino che non viene, mica scherzi. Non è che uno possa distrarsi tanto. Anche quando, sfinita e lacerata, si pensa di abbandonare l’dea, perché accanirsi sul corpo o su una natura ostile, rende più fragile di un foglio di cartapesta, l’idea di reinventarsi senza di lui, di ritrovare il proprio compagno oltre quel progetto, non lascia spazio ad altro. Di nuovo h 24.
La fatica, la rabbia, la stanchezza si mescola alle ore. Dolore quanto basta e minuti vuoti. Un binomio perfetto per una ricetta da gourmet.
Quindi, per tutte le donne che stanno cercando, disperatamente, senza ancora trovare, vi dico: non siete pazze, non state lentamente diventando folli, non state perdendo la ragione.
È solo l’effetto h 24.
Prima o poi passerà, quello che non distrugge fortifica.
Raffaella Clementi