Ultima modifica 4 Maggio 2018
La storia del presunto scambio di embrioni all’ospedale Pertini di Roma è una storia di sofferenza.
Sofferenza per le coppie coinvolte, per la madre che porta in grembo i bimbi non biologicamente suoi, per la madre che li ha persi, per la biologa che, forse, ha commesso materialmente l’errore.
Soprattutto, per quei bimbi, non ancora nati che, mi auguro, risentano il meno possibile di questo brutto scherzo del destino.
“Nessuno può dirci cosa voglia dire esattamente essere una madre o un padre. Se possa dipendere dal dna o se siano le ore, i giorni che si fanno tempo liquido, quello dedicato attimo dopo attimo, minuto dopo minuto, a costruire una “consuetudine d’amore” a renderci tali.
Possono esserci tante, tante domande, ma non può esistere una risposta unica. Perché tutto dipende da come si è dentro.
Esistono percorsi, esistono le persone e i propri concetti di maternità e di paternità.
Ma esiste un “solo concetto di amore”.
Un solo concetto di sofferenza. E questa storia, è carica di sofferenza.
A volte sembra che il destino si diverta a sparigliare le carte in tavola, rimescolandole, cambiando la rotta degli eventi, dando urti e scossoni che, difficilmente, ci porteranno a vivere la vita del “ prima”, prima che succedesse quello che ci cambia per sempre.
Personalmente, ritengo che la legge del cuore batta sempre la legge del sangue.
Che i legami affettivi abbiano la potenza di spostare le montagne, un’energia creatrice che non sempre hanno quelli biologici. Si può concepire per errore, distrazione, anche senza possedere la consapevolezza, senza abbracciare la scelta precisa di amare un figlio. Comprendo benissimo la donna il cui cuore batte insieme al cuore dei figli in pancia. Come comprendo benissimo il livore della donna cui il destino, li ha sottratti.
I giuristi affermano una cosa, i genetisti pure, i cuori, altre.
Non c’è una soluzione a questa storia brutta.
E’ impensabile che la legge tolga i bimbi a chi li ha partoriti, nutriti, accolti nel proprio ventre e lì dentro cresciuti.
Doloroso accettare che sia un’altra donna, la madre degli embrioni che ritieni tuoi.
Inaccettabile accettare di aver causato dolore.
Non so neanche se, superando i propri limiti e le proprie riserve, le due coppie riusciranno, per il bene di quelle creature, ad ipotizzare una famiglia “allargata”.
Chissà, se invece il destino, vuole proprio questo.
Costruire possibili legami sulle braci del dolore.
Spero solo che, qualcuno mandi i giusti vestiti, per il freddo arrivato.
Raffaella Clementi