Ultima modifica 20 Aprile 2015
Un ex-ministro della repubblica aveva affermato: “con la cultura non si mangia”, giovedì nella trasmissione servizio pubblico due eminenti (?) rappresentanti del mondo dei colti hanno magnificato le possibilità della cultura, significando allo stesso tempo, che solo con la cultura l’Italia potrebbe rivivere.
Hanno altresì asserito che ogni risorsa reperibile debba essere impiegata al fine di restaurare, recuperare, migliorare tutte le antiche vestigia di cui il nostro territorio abbonda, senza se e senza ma, hanno altresì ribadito, dall’alto del loro sapere, che è assolutamente inutile sprecare denaro per i vari poli industriali che stanno via, via implodendo sul nostro territorio.
E questo non solo perché deturpano le nostre bellezze naturali, ma, e soprattutto, perché non è nel nostro dna occuparci e lavorare nell’industria; noi saremmo più adatti a fare, dicevano loro, i camerieri, i cuochi, gli chef piuttosto che lavorare alla catena di montaggio.
È vero che le nostre bellezze naturali unite al nostro vantato patrimonio artistico, i nostri siti archeologici che si sposano mirabilmente con la natura potrebbero attrarre una moltitudine di turisti, molti di più di quanti attualmente visitino quello che una volta era noto come il bel paese.
Ma i siti archeologici sono da tempo immemorabile trascurati, i musei non espongono tutti i loro beni, molti monumenti antichi mostrano segni evidenti di disfacimento quando non crollano, quando non sono diventati depositi di immondizia, quando tra le pietre non nascono fili d’erba e tanto meno fiori, ma carte usate e lattine.
Non siamo capaci di spendere il poco, o tanto, denaro stanziato per le restaurazioni ( Pompei docet), né tanto meno pubblicizzare le nostre bellezze in modo da attrarre la curiosità di tanti e quei, comunque pochi, che arrivano comunque nel nostro paese e ne colgono la bellezza, ma sono, al contempo, disgustati dalla sporcizia imperante e dalla desolazione che traspare da ogni sito. La bellezza è nascosta, non tanto e non sempre, dalle fabbriche e dalle ciminiere, ma dall’incuria che regna sovrana.
Prima di stanziare altro denaro che, nella migliore delle ipotesi, giacerà inutilizzato nelle banche, non sarebbe forse più opportuno iniziare a spendere quelli disponibili?
Non sarebbe più opportuno sburocratizzare le procedure, non sarebbe più opportuno raccogliere in un regolamento dai commi semplici e chiari tutte le procedure necessarie per gli indispensabili lavori?
Non sarebbe più opportuno cancellare con un deciso colpo di spugna tutti quegli organi di controllo, che non hanno mai controllato nulla, e farne nascere uno solo che raccolga in se tutte le competenze e tutte le responsabilità e che risponda immediatamente e con i dirigenti pro- tempore delle eventuali malefatte?