Ultima modifica 13 Febbraio 2017
La gente ha il brutto vizio di venire a mancare.
Ci cascano tutti, non si salva nessuno.
È un errore inevitabile che facciamo, per fortuna una volta sola.
Non si sbaglia due volte.
Al di là di un po’ di leggerezza che spero mi sia perdonata, l’argomento dell’ultimo viaggio è drammatico ed è un pensiero con il quale tutti quanti prima o poi dobbiamo fare i conti.
Da genitori, da adulti, da persone che hanno già vissuto un po’ abbiamo il compito di orientare, con discorsi diretti e comportamenti, i nostri figli, i nipoti e i giovani in genere ad affrontare questo tema. Che, più apertamente e spontaneamente viene trattato, più può essere oggetto di discussione e crescita.
Le reazioni di fronte alla scomparsa di persone care, a vario titolo, sono le più varie: abbiamo visto funerali partecipati da ragazzi che hanno voluto lasciare sulle tombe pupazzi, pacchetti di sigarette e bigliettini.
Abbiamo visto lapidi, anche improvvisate, sui cigli delle strade pericolose, nei luoghi degli incidenti mortali, corredate da sciarpe e da fiori.
Alla morte è difficile rassegnarsi e si vorrebbe continuare a parlare, o restare comunque in contatto, con il defunto. Come tutti gli aspetti della vita anche questo fenomeno incrocia la rete.
Abbiamo visto diversi tentativi di siti organizzati come cimiteri digitali nei quali gli account dei defunti, gestiti da persone prossime, accoglievano fiori virtuali, pensieri dolorosi dedicati da amici e parenti, fotografie.
Purtroppo l’elemento economico necessario alla sussistenza di tali portali, incrociato con la promessa difficilmente mantenibile di permanenza dei siti nel lungo periodo, hanno decretato la scomparsa di questi camposanti virtuali.
Quello che invece funziona ed è molto vivo (è curioso usare quest’aggettivo in tale circostanza) è Facebook.
L’ampia diffusione di questo social ha fatto sì che la scomparsa delle persone titolari di account personali fosse regolamentata in dettaglio dall’azienda di Zuckerberg.
Le due espressioni chiave per gestire questo aspetto sono “Contatto erede” e “Account commemorativo”.
La prima è l’indicazione che si può dare al sistema, in vita, per evitare che, dopo la morte, il proprio account personale non sia più accessibile per mancanza della password del login.
Per accedervi, occorre entrare nelle Impostazioni e poi in Protezione (luoghi poco frequentati dove si fanno altre scoperte interessanti). La seconda, sempre facoltativa da parte di ogni persona, è la possibilità di trasformare l’account del defunto permettendo ad amici e familiari di raccogliere e condividere ricordi del de cuius.
L’espressione “In ricordo di” sarà visualizzata accanto al nome della persona sul suo profilo.
Facebook consente anche la rimozione dell’account stesso.
È tutto precisamente regolato nella guida interna della piattaforma.
Personalmente, poco tempo fa, mi sono reso conto di avere sei defunti nel gruppo dei miei contatti, ho visitato le loro pagine e visto le reazioni più diverse. L’artista che postava i suoi quadri vede da lassù i suoi estimatori ripostarli. L’allegro regista tv, molto noto nel suo settore ma non al grande pubblico, può leggere post con aneddoti di vita delle tante persone incontrate. Il fotografo, specializzato in matrimoni, che mi aveva ritrovato quale vecchio compagno di scuola, è ricordato anche dalle tante coppie immortalate.
Su questo tema sono sereno, mi guida un santo, modello di vita anche per i non credenti: Francesco d’Assisi.
Chiamava la morte “Sorella” e ne invocava la lode (“Laudata sii”).
Un invito a camminarle a fianco sorridendo, tanto lei c’è.
Ma la sua immancabile presenza al nostro fianco ci invita a una vita migliore e Facebook, per chi lo usa, ne resta testimone anche dopo il nostro ultimo addio.
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