Ultima modifica 3 Marzo 2020

E’ una domanda che mi viene posta spesso.
“Perchè amo gli animali” è una risposta troppo scontata e non sufficiente.
La maggior parte delle persone afferma di amare gli animali eppure li mangia, perché il legame tra ciò che è sul nostro piatto e il vitellino o il maialino che facciamo accarezzare ai nostri figli alla fattoria didattica è troppo lontano dal nostro sentire, abituati come siamo fin da piccoli a separare le due entità.
E quindi, per trovare una risposta adeguata alla domanda, ho cercato di risalire con la memoria alle origini della mia decisione.

Al suo tredicesimo compleanno una mia amica ricevette in regalo dai genitori l’iscrizione al WWF.
Perché lei amava gli animali.
E anch’io amavo gli animali. O almeno amavo Isacco, il mio bulldog, anche se molti altri cani mi facevano paura e i gatti non mi affascinavano molto. Ma insomma gli animali mi piacevano e volevo sentirmi importante, facendo qualcosa per loro. Perciò con la mia paghetta settimanale decisi di pagarmi anch’io l’iscrizione al WWF.
In realtà ero troppo giovane e troppo poco intraprendente per un impegno concreto, ma ero orgogliosa della mia tessera con cui avevo l’impressione di aver contribuito alla causa.

vegano

E poi odiavo le pellicce.
Indossare un animale (molto più di uno in realtà, ma non lo sapevo) quando si poteva stare caldi anche con un cappotto mi sembrava inaccettabile. Ed ero orgogliosa del fatto che, in un’epoca in cui quasi tutte le signore ne avevano almeno una, mia madre avesse scelto di non comprarla (animata in realtà da motivi più economici che etici, ma pazienza…). Non mi rendevo conto, poi, che il collo e il rivestimento interno del suo cappotto erano anch’essi in pelliccia vera…

Ma da dove arrivassero la carne e il pesce, che io mangiavo con gusto, all’epoca proprio non mi veniva in mente.

Solo parecchi anni dopo ho iniziato a pensarci, ma zittivo prontamente la mia coscienza ripetendomi che la carne era necessaria per la salute. Non conoscevo personalmente nessun vegetariano all’epoca; vegani poi… e chi ne immaginava l’esistenza? Quando sentivo parlare dei vegetariani, li immaginavo come delle creature mitologiche, dotate di un’incredibile forza d’animo. Li ammiravo profondamente, ritenendo la loro scelta un traguardo per me irraggiungibile.

Io ero conosciuta come una gran buongustaia in famiglia e tra gli amici, colei che “spendi meno a regalarle un gioiello che a invitarla a cena”, scherzava il mio ragazzo. Come avrei potuto rinunciare a gran parte di ciò che amavo mangiare? D’altra parte non avevo nessuno con cui approfondire l’argomento e una ventina abbondante di anni fa l’accesso all’informazione non era così semplice come ora.

Nel frattempo la mia coscienza ogni tanto si svegliava e un giorno mi fece decidere che non avrei mangiato più cuccioli. Fortunatamente non avevo mai mangiato agnello o capretto e quindi la mia decisione si risolse semplicemente nell’evitare il vitello, la cui carne mi piaceva, ma sapere che quella bestiola era morta ad appena qualche mese d’età mi faceva piangere il cuore.

Gli anni intanto passavano.
Nella mia casa, quella appena organizzata con l’allora fidanzato e ora marito, arrivavano per caso e senza essere cercati i nostri primogeniti: due gattini trovati abbandonati per strada (che insieme a noi poi hanno cambiato quattro case). Qualche tempo dopo arrivava la prima dei nostri tre figli.
E una sera io per cena preparavo il branzino e gli riempivo la pancia di pane grattugiato, aglio e aromi vari; nel frattempo mia figlia di tre anni gli accarezzava la testa quasi come se lo volesse rassicurare.
Eppure quando mettevo il pesce preparato e tagliato sul suo piatto, lei lo mangiava senza porsi il problema di cosa fosse; ma vedendolo tutto intero, si chiedeva che cosa ci facesse lì immobile al posto di nuotare nel mare come quelli delle illustrazioni dei suoi libretti. Quella sera ho realizzato che era da un bel po’ che la mia coscienza mi parlava e ci voleva l’innocenza di mia figlia a farmi capire che ormai era venuto il momento di ascoltarla.

Ma c’era il problema della salute: la carne ci vuole, ce lo sentiamo dire da una vita.
Ma… e se non fosse così?

Forse si sta bene anche senza, anzi forse anche meglio.
Così ho iniziato a leggere tanto, ad informarmi spaziando da Veronesi a Plutarco, da Campbell a Berrino e molti altri.
Il fatto che si potesse vivere in salute, anzi più in salute, senza prodotti animali sul piatto è stata una rivelazione. Fortunatamente anche mio marito ha voluto iniziare ad informarsi con me e le conclusioni a cui siamo arrivati sono state le stesse. Ho cominciato provando a togliere gradualmente prima la carne, poi il pesce.
L’anno dopo ho tolto le uova e i pochi latticini che mangiavo (il formaggio l’ho sempre odiato, fortuna eh?).
Ancora non sapevo fino a dove sarei arrivata, ma un po’ alla volta mi sono resa conto che stavo decisamente meglio così, in tutti i sensi. Quel collegamento che prima mi sfuggiva tra il contenuto del mio piatto e l’animale vivo, che soffre e che, come tutti, vuole semplicemente vivere, ora è lì, sempre presente.
E quando vedo le pecore che pascolano nel campo dietro la mia casa in Scozia, le guardo con tristezza perché so bene che la loro carne finirà sul piatto di qualcuno. Ma almeno, quel piatto, non sarà il mio.

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La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

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