Ultima modifica 17 Giugno 2023
Quest’anno ho imparato…
Ho imparato che dai bambini si impara.
Non è filosofia della citazione compulsiva… è proprio una realtà che, credo, solo gli insegnanti possono avere così chiara e tangibile.
I genitori sono troppo coinvolti emotivamente (lo vedo con mia figlia in casa), ma da insegnante lo sento.
Durante l’anno è difficile razionalizzare. Ora che stacchi la spina all’improvviso, quando ancora la lucina è accesa, e non hai tempo di realizzare che, prima, l’interruttore andrebbe spento, quando hai quell’attimo di sospensione tra il lavoro ancora in circolo, il desiderio di non pensarci più giorno e notte, l’emozione di lasciarli più grandi in tutto… ecco proprio in questo strano trivio sei tu, maestra, a pensare a tutto ciò che loro ti hanno mollato nell’anima. Ed è li che ti accorgi che dai bambini si impara.
Abbiamo iniziato con “Nulla è più duro d’una pietra e più molle dell’acqua: eppure l’acqua scava la dura pietra”, come a voler dare loro la saggezza adulta.
Pretesa troppo alta, perché ci crediamo superiori ai bambini.
In realtà loro hanno girato la frittata e non solo l’hanno scritto e imparato a memoria: l’hanno dimostrato.
Certo, ognuno a modo suo, come è giusto che sia.
Il video con le slide della storia di quest’anno, probabilmente mi ha rimescolato contenuti dimenticati.
Lui che insegna che qualsiasi cosa accada nella vita, ci si può rialzare e trovare motivi semplici e immensi per essere contenti e lei che ti ricorda che darsi tempo è uno delle strade per riuscire.
Lui che ti ricorda che
tutti meritano attenzione.
Vorrei regalarvi le foto con gli occhi che ascoltano una semplice storia letta o raccontata.
Vorrei regalarvi gli sguardi alla festa dei nonni: loro in cerchio, con l’attenzione che noi, al collegio docenti, dovremmo comprare.
Lei che è sempre attenta, dolce, pacata, ma si alza e dice la sua con prepotente educazione, perché ne ha diritto: lei insegna che essere sempre corretti non vuol dire mettersi a tappetino per gli altri.
E gli altri la guardano con due occhi muti, perché niente possono ribattere.
Loro che in due giorni mettono su una lezione di scienze per le classi prime.
Insegnano che in gruppo tutti hanno la forza di parlare, anche chi da solo farebbe scena muta per l’emozione. E tu che l’hai messa alla prova: tu, cattiva maestra, a lei che è la più timida, chiedi di iniziare la lezione, dal silenzio assoluto.
E lei lo fa, lottando e vincendo contro la timidezza.
Sì, perché io da piccola non parlavo in classe. Perché nessuno mi tirava a farlo con la convinzione che ce la potessi fare. Mi tenevo dentro, anno dopo anno, tutto ciò che sapevo. Lei no, lei ce l’ha avute delle insegnanti che l’hanno trascinata nel mezzo del palco e probabilmente soffrirà un po’ meno ogni volta che succederà. E riuscirà forse ad essere se stessa sempre, perché la timidezza non è carattere, è una zavorra sul cuore che solo chi ti sta intorno può aiutarti a buttare.
E poi c’è lui che ti grida in ogni modo, senza parlare, che è stanco, ma tu lo capisci alla terza e non va bene. Sta’ sveglia maé!
Loro che a volte ti ricordano con forza che sono bambini, e tu devi stare attenta, perché se non te ne accorgi loro si offendono nel profondo.
Loro che “Maé ci metti Rovazzi alla LIM?” sguardo eloquente “No, quella che dice solo un gran cognome…” sguardo più eloquente (ci provo, ce la metto tuttissima anche se mi viene da ridere forte) “Vabbeh… metti soldi almeno, quella ha vinto il festival!”
Alla ricerca di portare il fuori, dentro la scuola.
Alla ricerca di essere loro stessi sempre.
Dai bambini si impara. E loro questo mi hanno insegnato: hanno bisogno che la scuola serva fuori e che il fuori entri nella scuola. Hanno bisogno che la loro vita abbia un filo continuo, una motivazione forte.
Ma, Rovazzi no però… dai.
Capitan Uncino di Bennato semmai, ché un po’ di “sana cattiveria” ogni tanto deve uscire.
Grazie bimbi, dal primo all’ultimo.
Dai che a settembre mettiamo la terza.