Ultima modifica 2 Dicembre 2019
Qualche tempo fa sulle pagine de L’Avvenire sono state riportate alcune frasi tratte da un intervento sull’argomento adozioni da parte di Marco Griffini.
Ci si domanda se per un figlio lasciato alla nascita sono più importanti i legami di sangue o quelli che si creano nella famiglia adottiva.
Pare che il presidente di Aibi non abbia incertezze nell’affermare che:
“Quando l’adozione funziona non c’è dubbio.
I figli non avvertono la necessità di scoprire le proprie origini biologiche. Abbiamo concluso 3.500 adozioni e nessun figlio hai mai manifestato questo bisogno.”
Sono allibita da tale affermazione specie perché viene da una persona che lavora nel campo delle adozioni dall’83 ed è presidente di un’associazione che è ente accreditato dal ’93.
Se c’è una cosa che in tutti questi anni mi hanno sempre insegnato e che ho assimilato con una grande naturalezza è l’importanza delle radici biologiche e culturali dei miei figli.
Una cosa che ho non solo dato per scontata ma che tocco con mano ogni giorno visto che i miei figli sono nell’età ingrata, l’adolescenza. Questo è il periodo in cui maggiormanete tornano prepotenti tutti quei ricordi. Per alcuni sono solo delle tracce, quell’odore, chiamiamolo così, che proviene dal legame con le persone che li hanno generati.
Chi di noi, biologicissimi figli, non si chiede ad un certo punto: “ma io a chi somiglio di più, a mamma o papà?”
Per me, ad esempio, fu un dramma perché allora, durante la mia adolescenza, non avevo grande somiglianza con nessuno dei due dei miei genitori. Questo mi creava una forma di insicurezza e di agitazione tale che a volte deliravo su un’eventuale possibilità di essere stata adottata. Mia madre smentiva e mi diceva che, essendo una quinta figlia, dovevo starne certa di non essere stata adottata. Cattolica fervente si, matta da legare no.
L’agitazione finì quando trovai per caso una foto di mia madre piccolissima della quale ero, a quell’età, una fotocopia. Trovato un riscontro visibile, ecco che i miei dubbi svanirono e trovai altri argomenti, assai più lievi, con cui tormentare la mia adolescenza.
Per cui mi chiedo come si possa non riconoscere il bisogno viscerale dei figli adottati di conoscere la propria origine.
Bisogno che va ben al di là del sentirsi amati ed accettati dalla famiglia adottiva.
La necessità di riscoprire le origini
Come si fa con tanta perentoria certezza affermare che chi vuole conoscere chi lo ha messo al mondo lo faccia decretando il fallimento della propria famiglia adottiva?
Questa ottica del bianco e nero non credo possa essere utilizzata sulla strada dell’amore.
Penso invece, ma io sono la signora nessuno e non il presidente di un ente accreditato all’adozione, che prima di parlare a voce di altre persone sarebbe opportuno documentarsi meglio.
Certo, adulti adottivi che non sono interessati a conoscere le proprie origini ce ne sono ma ce ne sono moltissimi che invece sentono questa necessità.
Bisogna riconoscere anche che non è da un eventuale disagio nato in famiglia o dal rifiuto della famiglia adottiva che nasce il desiderio di conoscere le proprie origini.
E’ piuttosto un bisogno che ogni persona adottata porta dentro di sé in alcuni momenti della propria vita e che sarà lui o lei a decidere se dare un percorso a questo bisogno oppure no.
Voglio pensare che tra tutti i passi avanti che il percorso adottivo ha fatto ci sia la consapevolezza da parte di noi genitori adottivi che questa ricerca non solo non va ostacolata ma che vada addirittura supportata con ogni mezzo di cui siamo capaci.
La ricerca delle origina nasce da un bisogno legittimo e profondo dei nostri figli.
Se ignorato, quel bisogno può diventare dolore, ed è quello un fattore che può contribuire al fallimento di un’adozione. E’ come se si mancasse di fiducia in quel legame che, quando si forma, diventa indissolubile.
Detto questo genitori siate forti.
Siate temerari, amate tutto dei vostri figli anche la loro parte biologica perché senza quella scintilla non saremmo i loro genitori. Amateli così tanto da farli sentire sicuri di voi al punto di poter cercare una mano a cui appoggiarsi in un cammino non facile come quello della ricerca delle proprie origini e fate che quella mano sia la vostra.
Ed infine figli…
Provateci a cercarla quella mano, non abbiate paura di raccontare l’amore, la curiosità, e sì anche la rabbia ed il dolore che sentite quando pensate ai vostri genitori biologici. Loro sono dentro di voi, parte di voi e credo che non sia né possibile né giusto cancellarla quella parte. Potreste rimanere sorpresi nello scoprire che questa cosa non ci ferisce, non ci spaventa anzi la diamo per scontata. Abbiate fiducia nel nostro amore per voi… per l’amore, nel cuore, c’è sempre posto.
L’amore è come la fiamma di una candela, serve per accenderne ancora e non c’è bisogno di spengerne una per far brillare l’altra anzi due fiamme insieme fanno più luce.