Ultima modifica 24 Agosto 2020
Quando ho letto questo articolo sull’Huffington Post, che racconta di una madre figliocentrica che “ha deciso di smettere”, ho rivisto gli ultimi 16 anni dei miei quasi 47.
Quelli nei quali cioè ho vissuto da madre.
L’articolo di cui sto parlando inizia con una frase dello psicologo Jung: “La più grande tragedia della famiglia è la vita non vissuta dei genitori”.
Frase abbastanza inquietante se vuoi.
Racconta di una madre e giornalista dell’HuffPost americano, Jen Schwartz, che ha deciso di raccontarsi e svelare la sua poca propensione ad essere una madre figliocentrica.
Per la precisione di avere deciso di non esserlo in un momento della sua esistenza.
Non che non ami il figlio, dice. Ma ad un certo punto della sua vita ha capito che restare sveglia di notte, spalargli sempre la neve davanti alla strada, era diventato più un handicap che un valore aggiunto.
Per il figlio e per tutta la famiglia.
E mi sono rivista io. Madre figliocentrica per forza e per scelta.
Mi sono rivista soprattutto quando racconta delle sue azioni quotidiane tutte incentrate sulle attività, sui successi, sui progressi, sui bisogni di questo figlio.
In tutte noi c’è una madre figliocentrica. La differenza spesso sta solo nella percentuale di figliocentricità che ognuna ha.
Amare i figli. Volere il meglio per loro. Spesso decidere al posto loro è ruolo che ci appartiene.
Ma fino a quando questo decidere per loro è giusto? Quanto fa bene a loro e alla famiglia?
È vero che essere buone madri non significhi necessariamente annullarsi per i figli? Certo che si. Ma chi stabilisce il limite?
Mi ha colpito molto la frase nella quale la giornalista dice: “Non posso mettere mio figlio al centro del mio mondo e basare la mia identità sui suoi traguardi”.
Che è un po’ quello che succede a me. Però in casa mia c’è chi mi rimette al mio posto. Proprio mio figlio. Che continua a ripetermi “Io non sono te. A me non piace quello che piace a te.”
Come fare ad accettare che non si può avere il controllo su tutto? Come smettere di credere di sapere cosa è meglio per loro?
Okay, bisogna farsi da parte. Ad un certo punto della vita dei figli non si può pretendere anche di scegliere la maglia da fargli mettere.
Ma io, da buona madre figliocentrica, so di essere stata figlia. Che ha sbagliato e che non ha voluto spesso sentire e vedere la strada che mi indicavano i miei. E oggi spesso mi ritrovo a dire “certo che se li avessi ascoltati…”
E allora ripropongo la domanda: quale è il limite?
Aiutarlo nei compiti o lasciare che venga bocciato?
Scegliere una scuola che si reputa buona o affidarsi alla sorte o alla scelta del figlio?
Convincerlo a fare un’attività o lasciare che stia a casa a guardare la tv?
Parlare con gli insegnanti o aspettare la pagella senza interferenze?
Ben diverso ovviamente studiare al suo posto, o gridare a bordo campo insistendo con l’allenatore di fargli fare la punta quando tuo figlio non sa stare dietro a un pallone.
Una madre pronta a scappare a scuola dal figlio che ha dimenticato la colazione non è una madre figlio centrica a parer mio. È masochista autolesionista.
Ecco. Si può decidere di mettersi da parte quando il figlio ha 4 anni, oppure non smettere di farlo anche quando ne ha 16.
Questa è la mia risposta. Magari sbagliata ma personale.
Al posto di accettare le ragioni di Jen Schwartz tout court, come magari sarebbe meglio fare, ho deciso di continuare ad essere madre figliocentrica part-time.
Ma su una cosa sono totalmente d’accordo con lei.
Quando si racconta fuori dal figlio.
Una mamma che rimetta al centro della propria vita anche altre priorità come se stessa o la sua coppia è un valore aggiunto alla crescita dei figli.
Dare loro il senso di porto sicuro dove approdare in caso di difficoltà, ma fargli capire che oltre alla famiglia c’è una coppia.
Una coppia che si ami, che si stimi. Che abbia da fare insieme anche senza figli. Che parli di politica, di cinema, che fugga per un viaggio in due voluto da entrambi.
E che insieme insegni ai figli anche la sconfitta.
La sconfitta che non è mai una tragedia senza soluzione. Che è momento di ammissione degli errori e di riflessione.
Che fa diventare grandi e capaci di prendere decisioni.
La sconfitta che fa dire: “nella vita o vinci o impari. Non perdi mai.”
Quando verrà quel momento parlerò a mio figlio da donna a uomo. Solo allora forse smetterò di essere totalmente madre figliocentrica.
Capirò di essere diventata inutile. Che è la più grande soddisfazione alla quale una madre possa ambire