Ultima modifica 17 Giugno 2023
Una scuola di Pesaro ha inaugurato una sperimentazione per l’A.S. 2018/2019: niente voti ai bambini in corso d’anno.
In realtà i voti vengono decisi dagli insegnanti, ma non comunicati ai genitori a metà anno.
In occasione delle “non-schede” di febbraio viene tenuto un colloquio con i genitori per promuovere i talenti dei bambini o eventualmente punti da potenziare.
Un approccio positivo ed interessante per salvaguardare dall’ansia da voto soprattutto i più piccoli ed i genitori.
Mi sembra un buon compromesso per iniziare e per dare più spazio al confronto famiglia-scuola, piuttosto che al confronto tra numeri in pagella, perché, diciamolo pure, il mio ha preso 8 e il tuo 7 a storia viene molto facile.
Il voto in uscita dalla scuola significa quel mondo di luci, ombre, spessori che purtroppo, a casa, esce come dall’Imperia per la pasta all’uovo.
Io stessa da insegnante e genitore percepisco il voto in modo diverso quando lo assegno, e quindi lo sviscero e lo ragiono, e quando lo leggo sulla scheda.
Probabilmente, essendo insegnante, so che dietro c’è la storia delle mie figlie: le conosco, conosco le loro debolezze e le loro forze e me lo posso motivare.
Ma comunque da mamma sento il voto arrivare come una fitta. Ecco.
Poi il significato che do riflettendoci è un’altra cosa.
Parlo proprio di sensazione primitiva.
La scuola di Pesaro ha fatto un passo verso lo sgretolamento della competizione che alla primaria non deve esistere.
Io, facendo una sperimentazione, li avrei tolti del tutto.
Fatto 30, facciamo 31.
E’ vero che, impegnandosi ben bene, si può portare un bambino alla frustrazione pure con un bel discorsetto antipedagogico.
A dire il vero bastano anche 3 secondi di occhi al cielo nel momento in cui un bambino ti chiede una nuova spiegazione.
Però il voto è veramente una cosa triste nella vita di un bambino, ma non parlo mica solo di 6. Anche il 10 è tristissimo.
10 vuol dire che hai raggiunto il massimo. Ma di che?
Ecco, prendiamo proprio il 10.
Dieci è la completezza, una sfera perfetta… che perfetta non sarà mai.
Un conto è arrivare a 10 in terza liceo, un conto è il 10 in geografia o matematica a 9 anni.
Un bambino non si rende conto della gradualità degli obiettivi. Della necessità di sviluppare atteggiamenti più maturi, di impegnarsi nella piccola comunità scolastica collaborando e guardandosi intorno con un angolo sempre maggiore.
Da una classe all’altra c’è una differenza piuttosto evidente non solo nei contenuti, ma anche nelle richieste di maturità dell’atteggiamento e del linguaggio.
E’ piuttosto complesso e compresso mettere un 9 e piuttosto irreale tradurre tutto con un 10.
Noi insegnanti che non siamo nella scuola di Pesaro continueremo a faticare le sette camicie per individuare un voto adeguato che rispecchi il grado di sviluppo del bambino.
Ma certo, pur con tutto l’amore del mondo, il bambino in un numero lascia sempre quella sensazione di gabbia.
Io preferisco vedere la gioia quando, mentre correggo un compito, un bambino capisce di aver fatto bene.
E lì non è il voto a dare il sorriso, ma la soddisfazione di aver imparato.
Preferirei si portassero a casa la foto di quel momento.
Ecco, se potessi, metterei quella nella scheda.
Complimenti alla scuola di Pesaro comunque, da insegnante e da genitore.
Alle elementari dove andavo io non c’erano voti. Solo giudizi. Ma li odiavo comunque: finivano tutti, SEMPRE con la stessa frase che era fissa nella mia testa “Renata potrebbe dare di più”… uffffaaaaa… io NON POTEVO DARE DI PIU’!
Comunque approvo l’idea.