Ultima modifica 28 Aprile 2021
La scuola è il luogo in cui i ragazzi passano una buona fetta della loro esistenza.
Divisi equamente tra studio, contrapposizione verso i professori e le regole, amicizie e amori che nascono e muoiono e le prime esperienze di vita quasi adulta.
Ma la scuola italiana soffre
e soffre parecchio.
Soffre per le strutture che sono spesso fatiscenti. Soffre per i programmi ormai obsoleti (difficilmente si studia la storia oltre la seconda guerra mondiale). Per le strumentazioni che non sono al passo con le tecnologie utilizzate nel mondo del lavoro.
Soffre per la dicotomia tra didattica ed educazione.
Soffre per la carenza di insegnanti qualificati, soprattutto per quanto riguarda il sostegno agli alunni più bisognosi di supporto.
E soffre, soprattutto, per una mancanza di investimenti economici sul futuro dei nostri ragazzi. Che a scuola dovrebbero imparare a lavorare e, soprattutto, a diventare adulti competenti nella vita.
Per questo, come in ogni autunno che si rispetti, si moltiplicano le manifestazioni verso il governo che (di qualsiasi colore sia) taglia le risorse dedicate alla scuola.
Non più tardi di venerdì scorso, infatti, gli studenti (e insieme a loro un buon numero di professori) sono scesi in piazza per gli ennesimi tagli annunciati.
In diverse città (come documentato da La Repubblica, tra le tante testate) i ragazzi hanno manifestato richiedendo a gran voce “scuole gratuite per tutti, libri a costo zero”.
Lamentando i disagi provocati dall’alternanza scuola-lavoro o la carenza di risorse materiali. Rivendicando aule più sicure con soffitti che non rischino di cadere loro in testa tutti giorni. Gli studenti, inoltre, non hanno mancato di controbattere criticamente al crescente senso di razzismo che sembrano percepire, all’inutilità delle telecamere negli istituti o al richiamo al servizio militare come “strumento educativo”.
Segno che la politica, quella con la P maiuscola, esiste ancora nella testa delle nuove generazioni. Al netto delle esagerazioni esecrabili come bruciare fantocci di leader di partito (e di governo) o gesti estremi.
Questo il clamore di questi giorni intorno alla scuola.
Ma c’è un valore silenzioso della scuola che difficilmente viene raccontato.
Oggi però voglio farlo, sperando che diventi cassa di risonanza di quanto, ogni giorno, nella scuola si trovino eccellenze umane che nessuno narra. E che non fanno rumore.
Venerdì mattina, lo stesso venerdì delle manifestazioni che hanno riempito giornali e telegiornali, ero in una di quelle scuole. Una di quelle mediamente messe bene: con aule e banchi per tutti, senza soffitti che rischiano di cadere in testa ai ragazzi ma con la carta igienica contata e una biblioteca povera di libri.
In quella scuola c’era una ragazza che aveva un problema.
Non di tipo didattico ma personale, di quelli che ti mandano in crisi e che rischiano di inficiare anche il tuo percorso scolastico. Una difficoltà di quelle serie, di quelle che rischiano di mettere in scacco un’esistenza intera. Un problema che, quando te lo raccontano, la pelle ti si alza di qualche centimetro. Un problema che, se lo racconti a casa, apre mille altri problemi. Non una cosuccia da niente ma un corto circuito mentale importante.
Quella ragazza è venuta da me e ha detto una semplice frase: “Prof, ho un problema…”
Sa bene che non sono un professore e che il mio ruolo a scuola è molto differente ma, tra gli occhi che le si inumidivano per la sofferenza, ha scelto me per aprirsi e per raccontarsi. Cercava una mediazione tra lei e il corpo docente perché riteneva importante che il suo problema diventasse pubblico così che, tutti insieme, si riuscisse a trovare una soluzione.
Ho raccolto la sua sofferenza e le ho proposto di parlarne con una delle sue prof, una di quelle che hanno la cattedra dietro la quale non si nascondono ma che le garantiscono la possibilità di farsi portavoce con i suoi colleghi.
L’accordo era semplice: alla quarta ora ne avremmo parlato con lei.
E così è stato. Intercettata la docente prima che entrasse in classe io e la ragazza, insieme, abbiamo raccontato quello che stava diventando un grosso problema.
E lì è successo il miracolo silenzioso. La lezione di spagnolo è stata messa in secondo piano e la prof (la donna) ha dedicato il suo tempo a parlare con la ragazza, accogliendo la sua sofferenza e proponendo possibili soluzioni. Il tutto condito da tre paia d’occhi umidi e da una elettricità umana che, se ci fossimo toccati anche solo con un dito, sarebbe esplosa in una scintilla esplosiva.
La scuola (il sistema scuola) soffre certamente di grandi difficoltà, ma ogni giorno, esistono persone che appartengono a quel sistema che non dimenticano il loro ruolo di educatori. Persone che sono in grado di farsi carico di pesi che il loro contratto non prevede.
Che sanno riconoscere la priorità tra un’emergenza umana e un programma da finire per tempo. Che ricordano che, prima di tutto, sono esseri umani in una variegata umanità fatta di adolescenti apparentemente provocatori e rumorosi ma che, singolarmente, altro non sono che ragazzi che cercano di crescere.
Sgomitando in una vita che a volte ha la voce più grossa della loro.
Non sono eroi. Sono persone che prendono seriamente il loro ruolo e che non hanno paura di affrontarlo. Anche se non sempre ne hanno le competenze pedagogiche, ma che sanno farsi forza della loro umanità, delle loro debolezze e del loro ruolo adulto.
Ecco il vero valore silenzioso
della scuola.
Basta solo avere il coraggio di non abdicare al proprio ruolo.
E non credo serva aggiungere altro.