Ultima modifica 17 Giugno 2023
Un bambino in silenzio, è raro.
Anche i timidi, dopo qualche tempo, trovano il modo di chiacchierare un po’ e a volte li trovi dall’altra parte della classe che ti guardano e “Perché gli dovevo dire una cosa… ” Insomma, capisci che gli scappa come la pipì.
E’ un bisogno fisiologico dire “Iohofatto3+2emièvenuto5atequantoviene?”. Sapevatelo.
Sì, i bambini non comunicano: i bambini sono la comunicazione.
A scuola si lavora sull’altra faccia della medaglia, l’ascoltare, e quando dici “Sai, se nessuno ascolta…a cosa serve parlare?” ti guardano come se lo scoprissero per la prima volta.
Probabilmente dipende dal fatto che la maggior parte dei bambini, a casa, viene ascoltato a prescindere e quindi dà per scontata l’attenzione.
Non pensa in automatico che ascoltare è il prezzo per poter parlare, una moneta importante nella vita.
L’invito all’ascolto dell’altro è giusto un filo alla base della civiltà.
A scuola bisogna ri-tararsi: si aspetta il turno per parlare per poi ricevere, in cambio, l’essere adeguatamente ascoltati.
Questo è il silenzio richiesto che è sempre, e alla fine per fortuna, ve lo confesso, pronto a disintegrarsi. Quando esplode una risposta come si fa a dire “shshshsh”?
Quando scoppiettano per rispondere è un bel momento e anche se non si capisce niente, anche se le voci si aggrovigliano. Poi però, come in un finale a sorpresa, non so perché, riescono sempre a finire insieme. Si amalgamano, il coro scomposto finisce all’unisono. Buffo ma vero.
Poi c’è un altro silenzio, quello bello bello per me: quello di un bambino che pensa.
Ora vi racconto.
Ieri in DaD avevo preparato un bell’esercizio di sottrazione ripetuta, con sorpresa… mi seguite vero?
Ok.
Maria ha 17 biscotti. Oggi ne mangia 7. Domani ne mangerà altri 7. Quanti biscotti resteranno a Maria? Domanda a sorpresa: se dopodomani ne volesse mangiare altri 7, di quanti biscotti avrebbe ancora bisogno?
Ecco. Ogni bambino ha un suo tempo di reazione e per questo devo frenare da una parte e spronare dall’altra… in DaD.
Vi faccio un po’ pena?
In prima… ve ne faccio un altro pochino?
Bene, vi illustro: c’è lui che ti risponde prima di subito e tu fai finta di non aver sentito, pregando che si sia confuso con il cigolio della sedia (sì, ma poi alla fine gli ho detto che era stato bravissimo eh…) e chi deve pensare di più.
E io adoro quel momento in cui alla maggior parte dei bambini si forma la pieghetta in mezzo alla fronte. Si vede anche in DaD, credetemi.
Eccolo quel silenzio che è come quando di notte guardi il cielo blu e pian piano, quando gli occhi si abituano, spuntano le stelle 1,2,10, tante. Un silenzio vivo di luce.
Ecco, chiami un bambino ad aprire il microfono, mentre altri 5 zompettano di fronte allo schermo per richiamare la tua attenzione ( ma tu non cedi), e gli fai una domanda che è come un varco.
Aspetti che lui lo attraversi.
Pensa,
1 stella,
rilegge,
2 stelle,
vedi gli occhi che cercano e guardano in alto,
3 stelle,
la matita che tamburella sulle labbra,
10 stelle
E poi strilla la sua risposta: tante tante stelle.
Ma è un momento stupendo, l’azione perfetta che regala il punto della vittoria.
Io la sento quella piccola mente che da sola arriva. Da sola arriva.
Quello è il silenzio che preferisco e gli altri che zompettavano l’hanno capito: non hanno aperto i microfoni. Orgogliosa del loro silenzio.
Così lui ha avuto il suo tempo per misurare con i suoi passi il suo momento di costruzione.
Il suo silenzio pieno di stelle l’abbiamo visto tutti.
Bello.