Ultima modifica 17 Giugno 2023
La classe è senza alcun dubbio un gruppo di persone che per 200 giorni sono costrette a vivere insieme.
Le relazioni non sono sempre piane e spesso, dalla prima alla quinta, c’è chi proprio non si regge a vicenda e non c’è nulla da fare: la stima o l’affetto proprio non sbocciano.
Noi certamente non siamo lì per far sì che tutti si vogliano bene e non lo pretendiamo.
Ma, sicuramente, nel loro lungo percorso della scuola primaria, pretendiamo il rispetto delle regole di un vivere civile… che fuori nemmeno esiste, ma che lì, a scuola, deve regnare sovrano.
Chissà che poi non riescano a cambiare in meglio i loro piccoli mondi.
Quando mi dicono che a scuola dovrebbe tornare l’educazione civica, un po’ mi viene da ridere e un po’ mi viene pena, perché a parlare a vanvera viene così bene.
Come un pallone con la valvola rotta.
Punto primo:
“Buongiorno a tutti!”- sorriso …. “Ohi, buongiorno ho detto” – sorriso (tutte le volte che non ottengo risposta) e poi, ai ritardatari “Buongiorno a chi è arrivato dopo”
Ogni santa mattina inizia così e così loro salutano, tutti.
“Com’è? Tutto a posto? Cominciamo?”
Tutti un po’ zitti.
Ma volte non va tutto bene ed esce fuori il problema.
Punto secondo, appunto: capita a tutti la giornata storta, un dispetto che scoppia, una semplice penna rossa presa senza il permesso può esserne la causa scatenante.
Che vuoi che sia… no. Stop.
Le cose si chiedono prima di prenderle e bisogna anche aspettare che il proprietario accetti. E se non accetta possiamo anche dire che la gentilezza non sia il suo forte, ma un no va rispettato sempre.
Punto terzo:
“Lo sai maestra che stamattina al mio paese era -5 e venendo a Perugia era -2? Perché? ”
Ecco: la domanda.
C’è sempre la domanda a cui si risponde, un po’ per iniziare in relax, un po’ per aspettare gli ultimi che arrivano alla spicciolata, un po’ perché il desiderio di conoscere è forte.
“Che ha detto… chi? Oh oh non ho capito” brusio in sala… “Era Giulio che parlava, ascoltiamo? Magari qualcuno sa perché!”
Sì, qualcuno lo sapeva il perché e non era la maestra.
Ogni santo giorno qualcuno ha da imparare qualcosa da qualcun altro, in generale.
Punto quarto.
“Chi deve mettere a posto gli zaini in corridoio?”
“Io e Laura maé andiamo!”
Rientrano dopo un bel po’ “Mamma mia come erano messi male, c’abbiamo messo tanto!”
“Eeeh vabeh, ma gli zainisti ci sono apposta”
“E non va tanto bene, perché un conto è una riordinata veloce, un conto è prendere gli zaini uno per uno e rimetterli in fila… qual è la difficoltà nel metterli uno vicino all’altro quando arrivate?
E’ vero che ci sono gli incarichi. Ad esempio, allora, visto che c’è chi pulisce a fine giornata, perché non spalmate la nutella sui banchi?
Oppure perché non colorate il pavimento?
Gli incarichi sono aiuti per vivere meglio, ma non sono persone a servizio personale.
Chi lavora per noi va rispettato a prescindere.
E spesso, quando a fine giornata c’è sporco in terra, maschi o femmine indistintamente, vanno a prendere scopa e paletta per pulire. Sì, ci sembra giusto. Proprio giusto.
Ora, senza disturbare i giapponesi, anche nella scuola italiana si pulisce spesso e volentieri.
Si chiama educazione civica!
Questi sono i sassolini per arrivare al lavoro di gruppo, piccolo o grande: il punto quinto.
Chi sperimenta, insiste e non si arrende nel proporre lavori di gruppo, si accorge poi di quanto sia formativo per i bambini riuscire a raggiungere un obiettivo comune, indipendentemente da simpatie o bravure varie presunte o reali.
Io e le mie colleghe lo facciamo dalla prima, mettendo insieme anche chi proprio non si prende, perché lo scopo non è zuzzurellare, ma concludere.
“No, io con lui non ci sto”
“Ok, oggi no… dopodomani sì. Devi lavorarci, non giocarci.”
Imparare a “tollerare” una persona non proprio preferita per un’ora di attività è un ottimo esercizio di estrema civiltà, di società sostenibile, di scoperte grandi: anche chi non mi è simpatico può darmi qualcosa.
Resisti 5 minuti? Bene.
Arriverai a 10… 15… 20, fino a lavorarci serenamente, perché capirai che il fine comune “accomuna” e dà soddisfazione. Alla fine può persino creare un legame.
Chi te lo propone è un’insegnante che ci crede e sa che farlo è la cosa giusta: ecco,
se uno è convinto ed è anche esempio di condivisione, riesce a convincere, col tempo, con pazienza, ogni bambino.
Si chiama tecnicamente cooperative learning, ma in pratica è la bellezza concreta del vivere esperienze insieme agli altri, trasportata nell’apprendimento.
Mi emoziona sempre a questo proposito una frase di G. Zagrebelsky
“Le idee racchiuse in se stesse s’inaridiscono e si spengono. Solo se circolano e si mescolano, vivono, fanno vivere, si alimentano le une con le altre e contribuiscono alla vita comune, cioè alla cultura.” Ed è così.
A scuola, dove NONSIFAEDUCAZIONECIVICA, questo accade ogni giorno.
Certo, bello sarebbe potessero metterlo in pratica anche fuori.
E voi? Voi, civili che volete l’educazione civica nelle scuola, ci riuscite sempre a rispettare il lavoro degli altri, a lavorare con chi non vi sconfinfera?
Ah, dimenticavo, per ogni insegnante l’articolo 2 della costituzione è stampato nel cuore.
Io lo so a memoria.