Ultima modifica 17 Ottobre 2018
Come si fa a stabilire quale sia la parola più azzeccata da utilizzare quando si parla dello stato dei ragazzi adottivi?
Un ragazzo adottato è stato abbandonato o lasciato?
In apparenza sono due sinonimi, possono voler dire la stessa cosa ma nel campo adottivo hanno due significati totalmente diversi.
Riprendendo le parole della dottoressa Margarita Assettati, psicoterapeuta specializzata sui ragazzi adottivi:
si “ABBANDONA” qualcosa che non ha valore mentre si “LASCIA” qualcuno di importante.
Visto che anche le parole sono importanti soprattutto nell’ambito adottivo, la relazione Adozione/Abbandono ha insito un connotato negativo. Ecco perchè è importante, affinché la cultura dell’adozione cambi, cambiare anche le parole che usiamo quando ne parliamo.
Sono molteplici comunque i modi di sentire il proprio passato, qualcuno si sente lasciato ma indubbiamente altri sentono l’abbandono vero e proprio. Però questo è un loro sentire che, io credo, vada al di là del fatto stesso.
Per capire la differenza fra “abbandonato e lasciato” è necessario far nostra la loro storia.
E’ importante cercare di capire che spesso nella nazione dalla quale provengono i nostri figli permane una cultura dove la donna è maltrattata a sua volta. Spesso abbandonata a sé stessa e sicuramente non considerata nella sua dignità per cui spesso non ha alternative alla scelta fatta.
Ha fatto male, ha fatto bene… credo che nessuno di noi, nemmeno i figli possano giudicare tanto meno una società.
E non parliamo solo di adozione internazionale ma anche di storia di bambini lasciati nel nostro paese.
Quanto poi questo stato resti indelebile nella memoria dei nostri figli credo ce lo spieghi bene il mio caro amico Fabrizio, FAD ma non troppo, rispondendo alla domanda su come ti senti nel “qui ed ora” per il fatto di essere stato lasciato.
Questo ormai adulto “figlio lasciato” si racconta ancora una volta senza frizzi e senza lazzi:
“Direi che sono arrivato a considerare il fatto che essere stato lasciato abbia un suo valore positivo.
Se figlio ci diventi, come lo sono diventato io, occorre che qualcuno te “lo lasci fare.
Qualcuno che lo permetta per il suo egoismo o per la paura di restare, o perché altri possano decidere che sia meglio che ti “lasci andare.
Così la invischiante parola abbandono, che alcune madri adottive si propongono di curare inutilmente, si ridimensionerebbe anche nella chiave più costruttiva per noi figli.
Lo dico, perché ancor prima di chiedermi come mi sento per essere stato lasciato, vorrei chiarire che quando le relazioni diventano “disperate” c’è il rischio che l’essersi concentrati troppo sull’abbandono, come genitori e figli, sebbene con intenzioni diverse, ci procuri proprio quello. Mi sento capace di “lasciare”, qui e ora ma per farlo senza vendicarmi ho dovuto lavorare molto su di me.
Mi sento fortunato ad essere stato “lasciato crescere” nel grembo di una donna che per quanto mi è dato sapere, è stata la prima a imbucarmi nella festa della vita senza invito.
Ma qualcuno, che forse non poteva amarmi come avrebbe voluto, mi riconobbe, mi diede un nome prima di “lasciarmi”: Fabrizio. Come il De André cantante genovese, che credo lei ascoltasse nell’attesa e nel tormento su come sistemare la sua situazione.
Il mio nome, una identità.
Oggi, nel qui ed ora mi sento vivo. Lasciato allora libero di avere una seconda occasione dalla mia madre biologica e in seguito, di nuovo libero di lasciare la mia madre adottiva, che mi ha cresciuto!
Ma lasciare ed essere lasciati andare non è ciò che contraddistingue il percorso naturale dell’essere figli e genitori?
In teoria, ma nella pratica, sia gli uni che gli altri si invischiano di aspettative l’un l’altro a tal punto che non è più chiaro che ci si debba “lasciare”, e si finisce per non farlo o a farlo nettamente.
Mi è chiaro chi sono diventato.
Grazie al fatto di essere stato lasciato e per questo insolito modo di conoscermi, coltivo una gratitudine verso l’universo che non potrei che considerare benevolo.
Sono figlio e oggi sono adulto.
Tutto qua.
Chi sarei stato se fossi cresciuto nella bugia di essere amato da una madre naturale costretta a non “lasciarmi”?
O a permanere in una relazione da me sentita e vissuta di debito, neanche troppo velato, con chi mi ha cresciuto?
Dopo anni di recriminazioni oggi mi sento qui e ora di aver persino guarito quell’abbandono che non ho provato alla nascita ma nel momento esatto in cui sono davvero nato. Il momento in cui ho deciso chi volevo diventare.
Poi abbandonato ed infine, completamente libero di essere il miglior Fabrizio possibile a seconda delle circostanze.
Di verificare tramite l’apertura al mondo di persone meravigliose che ho incontrato dopo le mie madri, che sono una persona ancora folle ma che si sa comportare da sana, che sono amabile e che mi “lascio amare” senza debito.
Ma come potrebbe essere se non fossi stato lasciato?
Ora preferisco, man mano che cresco, di migliorare il mio sentire gli altri, perché diciamocelo. Ci penserà già la vecchiaia a mettere tutto il sentire nei soli cavoli miei e vorrei, invece, una vecchiaia più generosa e ribelle che non mi rispedisse dentro a me stesso: ci sono stato fin troppo tempo.
Il mondo fuori da noi può essere molto bello.
Da tutto ciò si capisce quanto sia importante lottare contro il termine di “abbandonato”.
La parola trasmette un giudizio negativo e fa credere ai nostri figli che valgono di meno in virtù di quello che è accaduto loro.
Questo sicuramente è un messaggio che nessun genitore vuole passare ai propri figli ed usare le parole giuste quando si parla di adozione diventa un piccolo passo verso una nuova cultura dell’adozione.
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