Ultima modifica 20 Giugno 2019
Ricordo quella volta in cui mia figlia, quattordicenne, durante una normale, benché animata, discussione, non ha retto lo stress emotivo, quindi, ha preso la porta e se ne è “andata di casa” – per poche ore, fortunatamente, e controllata a distanza -, lasciandomi però con un senso di sconfitta, che non ha paragoni.
È stata un’esperienza formativa, che mi ha permesso di non commettere più lo stesso errore. Ho ritrovato, a riguardo, un insegnamento utile in uno dei miei corsi: in sintesi, consiste nell’affermazione che comunicare vuol dire rispondere a un bisogno, e l’ascolto è lo spazio concesso all’altro. Nella circostanza di cui ho parlaro sopra – me ne sono resa conto dopo -, io non ho saputo ascoltare mia figlia, poiché non sono stata in grado di rispettare e accogliere il suo bisogno del momento.
Molto spesso, la comunicazione con gli adolescenti (e non solo con loro) non deve consistere nel rispondere direttamente a una richiesta di aiuto; dobbiamo essere consapevoli che il nostro interlocutore non necessariamente richiede una risposta, o pretende la soluzione immediata del problema: la maggior parte delle volte cerca piuttosto la via di una comunicazione reale, di una semplice condivisione del problema.
Paola Bianconi