Ultima modifica 28 Aprile 2021
Ho finito oggi di vedere la prima stagione di Tredici, la serie di Netflix che ha fatto tanto scalpore per i suoi contenuti crudi e diretti.
Sì, lo so. Sono in ritardo di almeno un anno e mezzo perché gli adolescenti hanno già seguito tutte le puntate e (forse) se le sono già dimenticate. Purtroppo il tempo che ho per guardare la TV non è molto e quindi sono arrivato fin qui solo oggi.
Ma perché parto da questa premessa? Dove voglio andare a parare?
Abbiate un attimo di pazienza (sopportando la mia incapacità di essere sintetico) e cercate di seguirmi leggendo questo articolo fino in fondo.
Th1rteen R3asons Why (questo il titolo originale del libro best seller che ho già ordinato su Amazon) è certamente uno spaccato di vita adolescenziale un po’ differente dal nostro. Il contesto è quello dei teens americani che (al netto delle patetiche copiature) è abbastanza lontano dal nostro contesto di vita.
Per lo stile di vita, non certo per l’essenza dell’adolescenza. Che, lo abbiamo già detto, non cambia nel tempo e nello spazio.
Per chi non lo sapesse Tredici altro non è che il racconto a ritroso di Hannah Baker, una diciassettenne di una qualsiasi provincia americana, che racconta come e perché è arrivata a togliersi la vita. Una narrazione dal sapore vintage degli anni ’80 visto che Hannah affida le sue parole a delle audiocassette che vengono passate di mano in mano. Come una di quelle vecchie catene di S. Antonio che tutti (prima o poi) abbiamo detestato, passato o boicottato.
Le vicende raccontano di violenza sessuale, bullismo, omosessualità, cameratismo, voyeurismo, droga, incomprensioni… Tutto ciò che riguarda il mondo degli adolescenti.
Ma non è di questi temi che voglio parlare oggi.
Ciò su cui vorrei concentrarmi – perché possa essere utile a me (in primis) ma anche a tutti coloro che arriveranno alla fine di questa mia riflessione perché interessati, coinvolti o preoccupati del rapporto con gli adolescenti – è collegato a una frase di un famoso filosofo come Bauman che i social mi hanno ricordato in questi giorni.
Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.
Il nodo sta lì, proprio nella comunicazione. Perché a tutti noi sembra che gli adolescenti siano incapaci di comunicare con il mondo adulto mentre (forse) siamo proprio noi a non ricordare le regole fondamentali del processo comunicativo.
Senza entrare in tecnicismi pedanti e di scarso interesse voglio solo ricordare i primi due assiomi della Pragmatica della Comunicazione Umana, la principale teoria sulla comunicazione che accompagna tutti coloro che si occupano di relazione d’aiuto.
Il primo assioma, quasi banale nella sua semplicità, è illuminante.
Non si può non comunicare.
Ripeto: può sembrare banale, ma così non è. Soprattutto se ricordiamo che la comunicazione non è solo verbale.
Immaginiamo un adolescente che, davanti a un nostro tentativo di parlare, si infila le cuffiette e si spalma sul letto: non ci sta dicendo qualcosa? O il classico dialogo-non dialogo che ogni genitore ha con i suoi figli dopo una giornata di scuola.
«Com’è andata oggi a scuola?»
«Bene»
Quel “Bene” non contiene un messaggio meta comunicativo che significa qualcosa tipo “Ma non riesci a farmi una domanda più precisa?” o “Cosa vuoi che ti risponda? Che è stato uno schifo come la mia vita di ogni giorno?”
Già ricordare che ogni sguardo, silenzio, gesto, sbuffo o parola fuori luogo è un tentativo (a volte goffo) di comunicare sarebbe già un buon punto di partenza.
Ma il bello viene poi, con il secondo assioma.
Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione.
Che, peraltro, è uno dei miei preferiti.
Quando cerco di spiegarlo ai ragazzi uso questa frase: “Se io ti dicessi ti voglio bene ma intanto ti tiro una bastonata cosa sentiresti come più forte?” Perché la differenza è sostanziale. In ogni comunicazione, infatti, il messaggio verbale vale solo il 10% di quello non verbale.
Quando parliamo con qualcuno, in fondo, non stiamo facendo altro che definire il livello di relazione che abbiamo con lui. E la relazione (emotiva, affettiva, oppositiva, indifferente) è ciò che punteggia la nostra comunicazione. Altro non è se non quel canale comunicativo che vale più di mille parole.
In ogni comunicazione, insomma, dobbiamo fare attenzione ai messaggi relazionali che stiamo passando perché sono quelli che più verranno percepiti. percepiti, non compresi. Ma che ci restano sottopelle.
Ecco come si coniugano la serie Tredici con la Pragmatica della Comunicazione Umana e la difficoltà di comunicare con gli adolescenti.
Siamo capaci, noi adulti, di utilizzare una comunicazione efficace? O di comprendere la comunicazione altrui?
Partiamo da qui: dal ricordare quali sono i due principali assiomi per trovare nuove modalità comunicative con i nostri figli teen. Iniziamo con l’utilizzare messaggi comunicativi che siano ben interpretabili e a comprendere i loro nel modo migliore.
Cominciamo da qui: dal ricordare che attraverso ogni comunicazione ritratteggiamo la relazione che abbiamo con loro.