Ultima modifica 28 Aprile 2021
“Fare il genitore oggi è sempre più difficile“.
Questa è una delle frasi che sempre più spesso esce dalla bocca di noi genitori che cerchiamo di sopravvivere al vortice adolescenziale dei nostri figli. Ma non solo.
Ho sentito neo-madri esprimere lo stesso pensiero (non sempre a voce alta), ho udito padri (molti meno, per la verità) lamentare questa fatica.
E dicono una cosa vera, pur non sapendo quanto lo sia.
In settimana, in uno dei miei peregrinare tra differenti contesti educativi, mi sono trovato in una scuola superiore e ho assistito a una lezione di spagnolo che mi ha particolarmente incuriosito sia dal punto di vista dei contenuti che della metodologia.
Cerco di farla breve per contestualizzare.
Naturalmente l’obiettivo didattico della docente era di insegnare ai ragazzi a sostenere una conversazione in lingua in vista dell’esame di stato. La metodologia, invece, è quella che più di tutto mi ha fatto aprire ulteriormente le orecchie e osservare le reazioni dei ragazzi. La docente è solita usare qualsiasi argomento pur di farli conversare e questa volta il tema era la differenza di ruolo tra gli anziani di ieri e quelli di oggi.
Fino a qualche generazione fa (quella dei miei nonni, per intenderci) gli anziani erano i capifamiglia, i detentori del sapere e della cultura che – proprio in virtù di queste loro caratteristiche – erano rispettati e considerati delle guide. Oggi gli anziani, nella società della quarta rivoluzione industriale e delle famiglie mononucleari, sono diventati un peso.
E fino a qui nulla di nuovo, lo so.
Ma mentre ascoltavo questo scambio di opinioni (in spagnolo, sì, con tutta la difficoltà del caso) mi è tornata in mente una domanda che mi è stata posta in un fuori onda di una trasmissione radio a cui ho partecipato.
“I genitori di oggi stanno mollando?”
Perché questo collegamento mentale?
Ripercorrere l’evoluzione sociale delle famiglie (e di conseguenza del loro ruolo educativo, anche se docente e ragazzi non potevano saperlo) mi ha fatto ripensare ai modelli educativi che i neo genitori avevano in passato e che hanno oggi e, soprattutto, al senso di insicurezza che, in questa epoca che muta così velocemente, caratterizza gli adulti che decidono di mettere al mondo un figlio trasformandosi, loro stessi, in soggetti che devono imparare e crescere insieme ai neonati.
“Genitore non si nasce, si diventa”
“Magari ti dessero il libretto di istruzioni quando esci dall’ospedale dopo aver partorito”
In quella società (quella delle famiglie patriarcali o matriarcali dei miei nonni) era più semplice educare i propri figli: la strada era una, il modello educativo era quello, avevi qualcuno a cui guardare e – più per assonanze che per differenze – trovare la tua strategia. Lo scostamento dalla norma era l’eccezionalità ed era guardata con sospetto.
Oggi non è più così ma non per mancanza di modelli genitoriali. Anzi.
Oggi i modelli educativi si sono moltiplicati quasi in modo esponenziale.
Durante la gravidanza si leggono tonnellate di libri, in televisione o sui giornali quasi quotidianamente si trovano “esperti” che (seguendo le notizie allarmanti raccontate dai TG) dispensano “lezioni” o “consigli” su quello che i genitori dovrebbero o non dovrebbero fare, sui social si moltiplicano i gruppi e le discussioni su cosa ogni genitore agirebbe “se mio figlio si fosse comportato così“.
Ognuno, insomma, sente il diritto di dire la propria.
E la maggior parte delle volte si tratta di critiche, la modalità comunicativa tipica della nostra epoca.
Se sei una mamma che lavora togli tempo ai tuoi figli. Non decidere (decidere?), però, di stare a casa dal lavoro altrimenti sei una mamma chioccia iperprotettiva.
Se sei un padre che cerca di prendersi cura (al pari della mamma, per intenderci) di tuo figlio non sei un vero uomo ma una pallida imitazione di una mamma. Attento, però, perché se fai quello che si occupa esclusivamente di portare a casa lo stipendio senza pensare all’educazione della prole sei un menefreghista maschilista.
Non provare a dare una sculacciata o sei un violento retrogrado. Ma non cercare il dialogo o ti trasformi immediatamente in un amicone dei tuoi figli e abdichi al tuo ruolo genitoriale.
Se contraddici gli “interventi educativi” della scuola sei un cattivo genitore che svilisce il ruolo educativo di chi dovrebbe solo insegnare contenuti e stare al suo posto. Ma se cerchi un’alleanza con l’istituzione scolastica sei un genitore che delega.
Se dici “sì” ai tuoi figli sei un genitore succube di quei figli “piccoli Buddha” che ti tiranneggiano. Se dici “no” sei un autoritario despota che ne limita il processo di crescita.
Non cercare di evitare loro di incappare in pericoli o saresti un cattivo genitore che non si rendi conto che lasciarli sotto la campana di vetro è deleterio in quanto impedisce loro di effettuare esperienze di autonomia. Ma se lasci che facciano alcune cose sfuggendo al tuo controllo sei un incosciente che non si rende di quanto il mondo sia diventato pericoloso.
Insomma: qualsiasi cosa tu faccia stai sbagliando caro genitore. Sappilo.
E ci sarà qualcuno subito pronto a dirtelo, in ogni occasione.
Come potrebbe quindi un genitore affrontare il processo di crescita dei propri figli, in primis, ma anche quello di genitore come soggetto che – per tentativi ed errori – cresce nel suo ruolo educativo?
L’istinto di mollare credo sia naturale e primitivo.
Della serie: se siete tutti così più bravi di me, fate voi. Io faccio un passo indietro.
Solo che ogni storia (di vita, di crescita, di relazione) è a sé e, appunto, il manuale delle istruzioni non esiste. Perché non esiste una sola via, una ricetta preconfezionata che possa funzionare per tutti.
Eppure ho visto (ve lo giuro, non sono personaggi mitologici) genitori sopravvivere all’adolescenza dei propri figli. E ho anche visto adolescenti sopravvivere ai propri genitori e diventare adulti sicuri, competenti e autonomi.
Qual è la strada?
Intanto sentirsi dei genitori “competenti in perenne formazione“. Perché è vero che non si finisce mai di imparare. Solo che l’apprendimento deve essere effettuato con un processo costante di critica costruttiva e contestualizzata.
Della serie: ascolto tutti i consigli e le esperienze altrui ma poi le faccio mie sulla base di quello che sono, del figlio che sono stato, del figlio che ho davanti (unico e irripetibile), del genitore che vorrei diventare nel mio contesto familiare, economico, sociale, di valori e di convinzioni. Senza sentirmi costantemente in difetto perché tutti gli altri sembrano più bravi di me. Che è, appunto, una sensazione determinata dall’insicurezza.
Forma e sostanza sono due cose molto differenti, ciò che si dice è spesso molto diverso da ciò che nella realtà si fa o si vive.
E poi tenere occhi e orecchie aperti, imparare il mondo reale in cui tuo figlio (lui, non un altro!) vive, ascoltare e osservare ogni minimo cambiamento e cercare di comprenderlo, porti delle domande ma trovare anche delle possibili risposte e indagarle, attraversarle, verificarle, sperimentarle.
Adattare i modelli che il mondo ti propone a quello che sei, nella tua autenticità individuale ed educativa. Con un centimetro di coraggio sopra la paura. Senza mai mollare.
Nessuno ha la verità in tasca. E nessuno può conoscere la tua vita così bene da poterla giudicare.
“Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io.” (Luigi Pirandello)