Ultima modifica 28 Aprile 2021

“Perché non mi racconti i pensieri che ti passano per la testa?”

Questa la domanda che, qualche giorno fa, un padre ha rivolto a suo figlio adolescente. Uno scambio comunicativo che spesso vedo nella mia professione: un padre che cerca di comunicare con suo figlio e un adolescente che si stizzisce per questo.

Come se parlare con il proprio padre fosse una cosa fastidiosa.
Il valore aggiunto, in questa conversazione, è stato il corollario che il padre ha aggiunto.

“Sai che io con mio padre di queste cose non potevo assolutamente parlare?”

Perché, in effetti, fino alla generazione dei nostri padri dialogare su pensieri ed emozioni non era possibile. Non perché fosse sbagliato ma, semplicemente, perché non si era abituati a farlo. Alla fine non era consentito.

pensieri di un adolescente

I padri di quelli della mia generazione sono stati educati a mantenere l’ordine e la disciplina, senza entrare nel merito di quello che si provava (vicendevolmente, mi viene da dire). E non potevano fare altro che ubbidire al mandato culturale. Forse con un pizzico di rimpianto visto che, ora che sono diventati nonni, cercano di recuperare con i nipoti.

Ma oggi le cose sembrano cambiare.

Oggi i padri hanno voglia di parlare con i propri figli o (forse) semplicemente di ascoltarli. Perché qui è la differenza.

I ragazzi, infatti, non sempre hanno voglia di raccontare i propri pensieri ai loro genitori. Preferiscono (quasi sempre) farlo con i propri coetanei perché si sentono più a loro agio nel gruppo dei pari. Là dove, più probabilmente, il giudizio non è preventivato.

Questo però non deve cambiare l’importanza della proposta.

L’importante è che gli adolescenti abbiano un’occasione in più.

Quelli della mia generazione, infatti, non potevano scegliere. Non era consentito optare per raccontare o meno quello che passava per la testa.

Oggi, però, sembra sempre più importante che ogni genitore sia capace di rileggere la propria esperienza di figlio per analizzare ciò che è stato e ciò che potrebbe essere. L’obiettivo è di costruire, per analogie e differenze, il proprio ruolo genitoriale proprio per non replicare quei meccanismi educativi che riteniamo come non funzionali.

Agli adolescenti di oggi, infatti, dobbiamo offrire questa opportunità.

Perché il confronto (possibile) con il padre è un valore aggiunto. Toccherà ai ragazzi decidere se coglierlo o meno, scoprendo che i confini raccontati da idee differenti (e a volte demodé) hanno comunque il senso del contenimento e sostenengono il processo di crescita degli adolescenti. I ragazzi, alla fine, hanno solo bisogno (mentre cercano di sfondare i limiti che sono stati posti loro) di sentire che quei vincoli sono solidi e, quindi, credibili.

RAPPORTO PADRE FIGLIO

Ai padri toccano due cose: non dimenticare di offrire questa possibilità agli adolescenti e rielaborare la frustrazione nel momento in cui i ragazzi sceglieranno di non condividere con loro pensieri ed emozioni.

Alla fine, in fondo,  il ruolo paterno è principalmente questo: proporsi come esempio coerente facendo da specchio a ciò che la società propone, offrendosi come alternativa credibile e di valore.

Poi, magari, i ragazzi sapranno stupirci. Come spesso fanno.

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