Ultima modifica 10 Maggio 2017
Ogni genitore adottivo vive periodi sereni e periodi difficili nel proprio percorso genitoriale al pari di ogni famiglia. Certo le famiglie adottive vivono portandosi sempre dietro il fantasma di quello strappo che i loro figli hanno vissuto e che li ha condotti a loro e non sempre è un pensiero leggero da portare nella propria testa.
Non fa piacere a nessuno di noi pensare al dolore che hanno attraversato anche se è proprio quel momento che ha fatto in modo che la vita ce li donasse e che ci fosse regalata una famiglia.
Credo che ad ognuno di noi sia passato almeno una volta nel cervello il pensiero… e se fossero potuti rimanere nella loro terra?
Le risposte che ci diamo sono le più variegate possibili, dipende dal conosciuto che abbiamo del loro passato.
Per molti di noi è una pensiero pensante.
Così voglio regalarvi ancora una volta le parole di Sangeetha .
Certo, anche questo è parte della sua personale esperienza in un paese particolare come l’India, ma io non credo che sia unica e credo invece che tanti altri figli adottivi la vedano pressappoco come lei.
L’adozione non è ingiusta.
È ingiusta la condizione che ha portato all’adozione, cioè l’abbandono.
L’abbandono è brutto.
Una cosa che nessuno vorrebbe.
Ma se non ci fosse l’abbandono voi oggi non sareste genitori dei vostri figli.
Io non sarei figlia di mio padre e mia madre.
Quindi l’adozione è un regalo che ho ricevuto. La mia seconda occasione.
La prima è stata la vita… 33 anni fa potevo morire con mia mamma durante il parto.
Invece sono viva.
Potevo stare con mio padre e finire a morire in qualche villaggio.
Potevo vivere ed ora essere vittima di schiavismo o di vendita degli organi o di pedofili… chi vuole, può aggiungere altro. Invece mio padre mi ha abbandonata. Mi ha lasciata in ospedale alle cure delle infermiere.
Quindi l’abbandono è il mio dramma ma è anche la mia rinascita.
Senza l’abbandono non sarei qui oggi.
Non sarei figlia, amica, sorella, moglie, mamma oggi. Senza l’adozione io non sarei neanche viva, forse. Allora piantiamola di farci sensi di colpa. Oh povero, l’ho tolto da quella terra… quella terra quando era il momento non mi ha voluta. Non era casa. Non era luogo di amore. Non avevo amore.
Due persone sono venute in quella terra e mi hanno fatta sentire amata, a casa, voluta.
Ma cosa c’è in questa scelta? Un semplice atto di amore incondizionato.
Che ha cambiato me, la mia vita ed il mondo.
Perché oggi posso dire al mondo che l’adozione per me è una cosa buona e bella.
Chi sceglie questa strada sa che il fantasma dell’abbandono sarà sempre lì nel cuore di suo figlio.
E suo figlio dovrà farne i conti. Prima o poi. E soffrirà…maledettamente. Ne soffrirà e cadrà.
Ma accanto avrà voi, che siete i suoi genitori.
Non altri ma voi che lo avete scelto da quando è arrivato tra le vostre braccia.
Ti abbraccio e capisco il tuo dolore. Ti voglio bene. Ti sono vicino.
Se non mi vuoi, sappi che io ci sarò sempre per te.
Non posso risolvere io il dolore che porti, non ti posso sollevare da esso.
È il tuo dolore, la tua ferita, il tuo buio. Posso dirti che è possibile superarlo il dolore, attraverso l’amore, attraverso il lavoro su di sé, attraverso il lavoro con qualcuno che lo sappia affrontare.
Ma io non posso risolverlo per te. (Ecco ciò che un genitore adottivo può dire al proprio figlio. Ndr)
Voi non potete salvare i vostri figli dallo spettro dell’abbandono. Non potete toglierlo.
Perché affannarsi per togliere qualcosa, invece che dare qualcosa in più???
Toglierlo significa evitare il dolore, evitare il male, la ferita, il delirio, la disperazione?
A meno che veniamo lobotomizzati, quel dolore non è possibile estirparlo.
Che carte avete in mano per aiutare vostro figlio?
Dite, quali sono le mosse che pensate di fare?
Avete una speranza? Potete dire a vostro figlio che la sua vita vale, nonostante l’abbandono?
Che ne è valsa la pena venire al mondo? Che ne è valsa la pena adottarlo?
Perché un figlio ha solo bisogno di amore.
Di essere amato esattamente così come è. E lui ama nel suo modo.
Ed ha bisogno di un padre ed una madre che nei fatti, nella concretezza dei fatti, gli facciano capire che lo amano.
Sempre e comunque.
Che lo scelgono come figlio sempre, anche quando diventi brutto e cattivo.
Anzi forse in quel momento è proprio la prova del nove dell’amore.
Mi tratti male, mi fai stare male, ma io ti amo lo stesso.
Ti perdono, perché non capisci che ti voglio bene. Ripartiamo insieme. Sono qui per te.
A volte si diventa brutti e cattivi perché non ci si sente amati abbastanza nel presente, oggi.
Gli spettri contano.
Ma anche il presente conta.
L’ambiente familiare è fondamentale.
Se già penso che non sarò mai padre e madre per davvero di quel figlio, che messaggio gli passo?
Ma io genitore faccio un lavoro su di me? Cresco come genitore? Mi metto in discussione?
O penso già di sapere io tutto? Quel figlio è con me perché io possa maturare come persona, come padre, come madre. E lui possa crescere nella consapevolezza di essere figlio, cioè di appartenere, di essere di qualcuno.
Perché in fondo nella vita ci affanniamo tanto, ma nel cuore desideriamo solo e soltanto di essere amati, proprio così come siamo, povere e fragili creature bisognose di trovare la nostra casa, il nostro spazio nel mondo.”
Ecco, sono parole forti, parole che disarmano, parole che noi genitori dobbiamo scolpire nella nostra mente.
Parole che, chi si avvicina all’adozione, deve introiettare in sé e chi invece il percorso lo ha già iniziato deve avere già ben salde nel cervello e soprattutto nel cuore.
Ma credo che siano i genitori di chi, come me, sta attraversando l’oceano in tempesta dell’adolescenza dei propri figli debba leggere e rileggere ogni qual volta che il cuore trema, il cervello si ribella perché sono come un cannocchiale mirato e fisso su quelle acque tranquille che ci saranno passata la tempesta.
Magari in quelle acque tranquille ci potrà essere anche un’isoletta dove attraccare per un po’ per rinfrancarci prima di ributtarci in quelle acque agitate che è la vita.
Grazie Sangeetha.
bellissimo.