Ultima modifica 15 Dicembre 2020

“…Secondo poi Gheorghij Fedorov, membro dell’Assemblea Civica della Federazione Russa, Odesio Manarin avrebbe qualche problema di natura psichica, tanto di avere con sé il certificato medico con una diagnosi del genere.”

Riparto da qui perché, benché questa frase sia estrapolata da un mio articolo del 2016 dove parlavo del periodo non proprio cristallino del mondo adottivo. Credo sia giusto “dare sempre a Cesare quel che è di Cesare”. In quest’ottica credo sia giusto raccontare nuovamente la storia di cui ho parlato in quell’articolo e più precisamente del “Caso Manarin”. Come al solito il caso scatenò da parte di quelli che si credono perfetti una marea di critiche verso la coppia.

Se rileggete l’articolo, avevamo parlato delle adozione bloccate in Congo ma anche della storia di Odesio Manarin e di sua moglie Stefania che avevano vissuto una storia molto particolare, anzi direi drammatica, durante il terzo ed ultimo viaggio per portare finalmente a casa il bambino a loro abbinato dalla Federazione Russa.

A marzo 2016 partono per raggiungere Ivan, del quale hanno anche per la legge russa la potestà genitoriale. Arrivano a Volgograd la mattina dopo e, insieme alla referente dell’ente vanno a conoscere e prendere il bambino.
Mentre attendono l’arrivo del passaporto, nei venti giorni di attesa necessari, consigliati dalla referente, fanno conoscere al bambino, che aveva vissuto sempre e solo in orfanotrofio, la sua città natale.  Consiglio più che logico data l’importanza che ha mantenere il contatto con la cultura del luogo per i nostri figli.

La coppia insieme al bambino visitano i luoghi più importanti di Volgograd senza però essere stati messi in guardia dei rischi potenziali rischi rappresentati, come poi emerso, da un clima ostile verso le adozioni internazionali che a volte esiste nei paesi esteri e ben radicato in quella realtà.

Il periodo comunque trascorse abbastanza tranquillamente e durante lo stesso capiscono che Ivan a 8 anni non sa né leggere né scrivere, non conosce la sua età perché dice a tutti di averne 5, parla poco e male anche il russo.

Tutto rientra nella norma della situazione.

E’ normale che un bimbo che è stato istituzionalizzato a lungo presenti queste specificità.

L’evento che scatena il delirio che segue nasce, come detto sull’articolo precedente, dalla denuncia da parte del capo della polizia locale che accusa il signor Manarin di aver schiaffeggiato il bambino mentre erano a passeggio. Versione ben differente da quella data dai coniugi che riferiscono di aver dovuto recuperare al volo il bimbo che si era gettato a terra in mezzo ad un incrocio semaforico di una strada trafficata.

Ovviamente le conseguenze non si sono fatte aspettare.

Il bambino è stato tolto alla coppia e riportato in istituto, la coppia portata alla stazione di polizia (dove non fu il capo della polizia locale a interrogarli ma addirittura il capo del comitato investigativo “crimini violenti” una forma di FBI russa e generale della giustizia di quella città) e successivamente solo dopo molte drammatiche peripezie è rientrata in Italia senza il minore.

Ora quello su cui voglio mettere l’accento non è tanto su la dinamica delle cose successe; tutti capiamo che il dolore viaggia in parallelo ad un fatto del genere. Mi voglio invece fermare sul fatto che la drammaticità e la violenza di quanto successe arrivò a livelli allucinanti forti di un’unica reale motivazione cioè il forte nazionalismo ed un sentimento di opposizione all’adozione internazionale che tutt’ora esistono in svariati paesi.

Opposizione legittima, aggiungo io, se i paesi fossero messi realmente in grado di affidare i bambini istituzionalizzati a coppie locali in modo da non sradicare i bambini dal proprio paese d’origine. Purtroppo questo è purtroppo ancora un sogno non facilmente realizzabile per cui è necessario ancora ricorrere in alcuni paesi del mondo all’adozione internazionale.

Dovrebbero essere gli enti stessi che, conoscendo la realtà dei paesi esteri sui quali operano per cui  sono consapevoli se esiste questo tipo di clima, che dovrebbero mettere a conoscenza le coppie questa possibile ostilità invece di far finta di niente perché i pericoli che ne conseguono sono quasi sempre drammatici.

Nasce così l’esigenza di far comprendere alle coppie in procinto di partenza sulla necessità di studiare bene abitudini, usi e costumi oltre che possibilmente la lingua dei paesi nei quali andranno ad incontrare il proprio figlio. Questo con il duplice scopo di accogliere al meglio queste peculiarità e farle il più possibile proprie che per evitare situazioni che possono sfociare nel dramma come quella che ho raccontato.

PS: giova far presente che il soggetto che ha scatenato tutto questo putiferio altri non è che Mikail Muzraev. Arrestato il 14 giugno 2019 e di cui hanno  parlato tutti i media sia russi https://www.kavkaz-uzel.eu/articles/338678/ che il New York Times del 13 luglio 2019 https://www.nytimes.com/2019/07/13/world/europe/fsb-intelligence-committee-putin-russia-muzraev.html  e descritto come il Signore Oscuro, il Signore del Male.
Questi, forte di un infallibile giudizio durato circa dieci-dodici secondi, ha deciso le sorti della coppia italiana e del loro figlio, rispedito in orfanotrofio, ed annullato pareri di psicologici, assistenti sociali, medici anche di parte Russa creando così tre profonde infelicità.

Spero che questa famiglia abbia successivamente avuto la forza di rimettersi in gioco e abbia finalmente potuto aprire famiglia e cuore ad un bimbo che ne aveva bisogno.

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

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