Ultima modifica 8 Marzo 2017
Oggi vi presento Stefania, ha 46 anni e nel novembre 1999 – tre anni e mezzo dopo il matrimonio – insieme a suo marito Jean Marie ha presentato domanda d’adozione al Tribunale dei minorenni di Milano. Per vie naturali il desiderio di avere un figlio sembrava non potersi compiere e Stefania aveva subito chiarito che non intendeva inoltrarsi in insidiose vie medicalizzate; quindi, provata inutilmente qualche cura ormonale e relativa dose di scalmane, Stefania e Jean Marie hanno voltato pagina e scelto la via che avevano sempre considerato fosse la più giusta per loro.
In soli due anni, dopo i colloqui di rito, qualche corsa in tribunale per adozioni nazionali che poi non si sono concretizzate, un incidente di percorso (cambio delle regole del Paese) che li ha costretti a cambiare paese – dalla Bolivia al Brasile – finalmente hanno avuto l’abbinamento con il primo figlio. Il 13 dicembre del 2001, il giorno del loro incontro, il piccolo stava per compiere 18 mesi, pesava 9,9 kg, e in soli 20 minuti nelle stanze del Tribunale dei minorenni di Salvador Bahia, ci ha adottati.
Di quell’incontro Stefania ricorda: “Il senso di vago stordimento, il profumo della sua pelle, la sensazione di essere soli nella stanza insieme a lui, mentre c’erano l’assistente sociale e la referente della nostra associazione a supportarci discretamente. Me l’ha messo in braccio un’operatrice dell’istituto che lo aveva accompagnato fin lì e che si è discretamente eclissata senza nemmeno aspettare i nostri saluti, magari per non far vedere la sua commozione. Aveva un completino da mare molto più grande della sua taglia, stinto dai molti lavaggi, e il ciuccio con il suo nome in bocca. Lo abbiamo coperto di baci, girando come trottole impazzite e poi lo abbiamo messo a terra per scoprire che sapeva muovere qualche passo, ma aveva completo bisogno del nostro supporto”. Dopo una mezzora, al momento del congedo, l’assistente sociale gli ha aperto le braccia nel gesto di riprenderlo con sé lui le ha girato sicuro le spalle, attaccandosi più forte al mio collo. L’adozione era iniziata. Per noi è rimasto una sorta di viaggio di nozze suppletivo“. Un piccolo paradiso in terra, dove si sono sentiti come la famiglia felice della pubblicità.
Rientrati in Italia, le difficoltà sono state quelle di tutte le famiglie: far coincidere gli orari di lavoro con la gestione del bambino, organizzarsi, correre, preoccuparsi quando si ammalava. Tutto si è svolto in un clima di grande felicità, condiviso con la famiglia allargata; con i nonni che avevano ricevuto il loro primo nipote da così lontano; con gli amici e i vicini di casa. L’inserimento e gli anni dell’asilo per il piccolo sono stati splendidi, grazie a due bravissime insegnanti. Il bambino non ci si è mai dovuto preoccupare del colore della sua pelle, tutt’al più qualche disagio lo mostrava rispetto ai “ricciolini”.
Per quanto riguarda la sua “verità”, Stefania e Jaen Marie l’hanno raccontata fin da subito, attraverso un libretto che hanno scritto loro, insieme ai parenti stretti e fatto illustrare ad hoc, in modo che il racconto sull’adozione fosse univoco e le parole condivise: la pancia rotta della mamma, il giudice che li ha aiutati a trovarlo in Brasile, la signora che lo aveva tenuto nella pancia, ma non era capace di fare la mamma.… Ancora oggi che ha quasi 14 anni, il ragazzo rifiuta la parola abbandonato. Lui non mostra grande interesse rispetto alle sue origini. Sebbene sia un passato con cui alla fine dovrà fare i conti.
Questo secondo figlio, il famoso “fratellino” che per lui è stato motivo di tanta attesa stressata, si è fatto attendere quattro anni. La domanda d’adozione è stata presentata nell’aprile 2005 e l’abbinamento è stato proposto nel novembre 2009, con una specifica: la sorellina (era una femmina) aveva già 6 anni e mezzo e un handicap. Nata focomelica. E’ priva dell’avambraccio sinistro. Il dettaglio non ha richiesto lunghe riflessioni: Stefania e suo marito si sentivano in grado di far fronte a un problema simile. E non hanno sbagliato, chi conosce la piccola, può confermare che questo è proprio l’ultimo dei suoi problemi. Ora le hanno anche fatto preparare una protesi mioelettrica, ma lei si trova più a suo agio senza. Del resto, essendo nata così, ha sviluppato tutte le abilità.
Con lei è come vivere quotidianamente sulle montagne russe. Vuole sempre i riflettori puntati addosso e lei fa in modo che non si spengano mai. Del resto, la sua è una storia di grande sofferenza, privazioni, violenze e d’abbandono che ricorda perfettamente. Non a caso ci sono voluti tre incontri, prima che venisse affidata definitivamente. Di lì a pochi giorni hanno scoperto che la provocazione, la sfida, l’affermazione della propria individualità sono le armi della piccola per tenere la situazione sotto controllo. I 55 giorni in Brasile, questa volta, sono stati un incubo. Vedevano il primo figlio soffrire per quel piccolo tsunami che gli aveva travolto famiglia e tranquillità.
“Possiamo anche dire di essere orgogliosi del cambiamento che lei ha fatto. E’ una bambina, ancora segnata dalle sofferenze vissute che però conquista tutti con la sua carica vitale e il sorriso”.
La strada è lunga per loro ma la fatica non li spaventa. Ormai sono abituati a lottare e a correre.
Paola Lovera