Ultima modifica 19 Dicembre 2015
Fabrizia ha una storia un po’ particolare, un percorso un po’ più sofferto del solito anche se la sua tenacia l’ha avuta vinta. Ve la faccio raccontare direttamente da lei:
«Mi sono sempre sentita mamma nel cuore, fin da quando ero bambina. Negli anni mi sono realizzata prima come donna, poi come moglie e da ultimo è arrivato anche il momento di realizzare il mio desiderio di maternità. Dall’età di 8 anni però soffro di emicrania, peggiorata con l’andar del tempo al punto che oggi viene definita dallo specialista che mi segue “emicrania cronica invalidante”. In ogni caso, con i medicinali che sono assumo, conduco una vita normale.
Quando mio marito mi ha fatto presente che non potevamo, per ragioni di età, procrastinare ulteriormente il nostro progetto di avere un figlio, mi è venuto il panico. La mia patologia implicava che, prima di rimanere incinta e durante la gestazione, per ridurre al minimo i rischi di malformazione fetale, smettessi per mesi i medicinali contro l’emicrania; al solo pensiero mi sembrava di impazzire! Fortunatamente mio marito non mi ha mai lasciata sola, ho sempre condiviso con lui tutte le mie paure e il percorso verso nostro figlio ci ha sempre visto uniti. Mio marito allora mi ha esortata a parlarne con la ginecologa, la quale mi ha messa di fronte ad un eventuale peggioramento dell’emicrania dopo il parto.
Dopo qualche mese di riflessione, abbiamo deciso con grande serenità di intraprendere il percorso dell’adozione; in tutta sincerità devo dire che né io né mio marito sentivamo la necessità della procreazione biologica e quindi non abbiamo neanche mai provato “il lutto” della non procreazione.
Ci siamo informati sulle modalità e le procedure da seguire e nel mese di febbraio 2006 ci siamo recati al primo colloquio informativo sull’adozione con un’assistente sociale preposta dell’ USL della nostra città. Siamo usciti a pezzi da quel colloquio! Ci siamo trovati di fronte a una persona impreparata ed arrogante, che ha proferito discorsi irripetibili e ha avuto da obiettare sulla nostra scelta, pur non sterili, di non procreare biologicamente. Tralascio di raccontare quanto di disdicevole è avvenuto nei giorni successivi ma, finalmente, nel giugno 2006 abbiamo presentato la disponibilità all’adozione al Tribunale dei Minori della nostra città. I colloqui che sono seguiti, con lo psicologo e l’assistente sociale preposti, sono stati un incubo perchè continuamente messi sotto giudizio e denigrati per la nostra scelta di non procreare biologicamente.
Secondo lo psicologo io ero una donna a metà che mentiva sulla sua realizzazione personale perché “ogni donna si realizza fino in fondo solo quando partorisce”. Anche mio marito ha subito pressioni piuttosto forti per questa ragione. Dopo un anno di tormenti, il giudice del Tribunale dei Minori che doveva decretare la nostra idoneità all’adozione, a fronte della mia patologia, si dichiara sconcertato della nostra scelta di dare la disponibilità all’accoglimento di un minore di età superiore agli 8 anni e affetto da gravi patologie. Ci siamo sentiti morire dentro! Noi abbiamo sempre dichiarato, senza alcun tentennamento, che in considerazione della mia emicrania non potevamo farci carico a priori di un minore con gravi difficoltà e l’équipe adozioni, che in questo caso doveva semplicemente ratificare le nostre volontà, non ha minimamente considerato i nostri limiti.
Fortunatamente il giudice ha compreso la situazione e ha corretto il documento con le nostre dichiarazioni. Esasperati da quanto avevamo subito, abbiamo deciso di procedere contro l’équipe adozioni e dopo due anni abbiamo ottenuto un decreto del Tribunale dei Minori che riconosceva le nostre ragioni e ci affidava all’equipe adozioni di un’altra città. La nostra motivazione non era cambiata e di buon grado abbiamo ricominciato da zero il percorso, ma questa volta è andato tutto bene! Ottenuta l’idoneità all’adozione di un minore sano e di età non superiore ai sei anni, abbiamo iniziato a contattare gli enti per l’adozione internazionale e siamo ripiombati nel baratro. Per tutti gli operatori degli enti noi eravamo vecchi (io avevo già superato i 45 anni) e non ritenevano fosse il caso di destinarci un bimbo dell’età prevista dal decreto e sano, ma ci proponevano a priori di essere disponibili per un minore di età superiore ai dieci anni e a rischio sanitario.
Tra l’altro, prese le dovute informazioni sulle peculiarità culturali dell’accudimento e le patologie specifiche dei diversi Paesi, volevamo adottare in Etiopia, ma i diversi enti si arrogavano anche il diritto di scegliere il Paese più idoneo alla nostra famiglia. Non ci siamo arresi e caparbiamente abbiamo continuato la nostra ricerca trovando l’ente che ci sembrava facesse al caso nostro. Nel febbraio 2011 abbiamo conferito l’incarico questo ente e dopo mille peripezie e cambi di Paese, nel settembre 2011 firmiamo l’abbinamento con nostro figlio, camerunese, che all’epoca aveva quattro anni e mezzo. Ci sembrava di toccare il cielo con un dito.
Purtroppo, non avevamo ancora terminato le nostre sofferenze e per congiungerci a nostro figlio, dopo un anno e mezzo dall’abbinamento, abbiamo dovuto scomodare le più alte cariche di governo e diplomatiche. L’ente si è comportato male, ma quel che è più triste è che ciò che è successo a noi non è un’eccezione e la maggior parte delle famiglie tacciono per timore di chissà quali ritorsioni. Nostro figlio è con noi da marzo 2013 ed è la nostra gioia. Eravamo preparati al peggio, a non essere accettati (è arrivato a sei anni), ad affrontare difficoltà e problemi caratteriali. Invece, è sereno, un po’ monello come tutti i bimbi della sua età, intelligente e ironico. Otto anni fa non sarei nemmeno riuscita a ipotizzare di avere una motivazione così forte, che ci ha sorretti sempre, anche quando, dopo oltre un anno dall’abbinamento (il piccolo era già stato preparato e informato su di noi), l’ente ci aveva detto che non c’era più nulla da fare e che nostro figlio non sarebbe ma arrivato (in realtà all’ente non conveniva più operare nel Paese di nostro figlio e voleva chiudere tutto….).
Non mi sento una mamma di serie A o di serie B, non so come si sentano le mamme biologiche, io mi considero una mamma e basta. Ogni giorno, al risveglio, ancora gioisco del fatto che il nostro angelo è davvero con noi; amo mio figlio più di ogni cosa al mondo, lo sento dentro di me, parte di me, cuore del mio cuore. Mio marito prova quanto provo io ed bellissimo condividere queste emozioni pure. Sette anni di attesa sono un’eternità ed è inevitabile essere assaliti, soprattutto nei momenti più difficili, da mille dubbi tormentosi. Non so cosa ci riserverà il futuro. Il nostro è un Paese ancora gretto e razzista, ma sono convinta che quello che abbiamo passato ci abbia temprato e affronteremo uniti, assieme a nostro figlio, le difficoltà che arriveranno».
Ecco un’altra testimonianza di quanto può essere duro il cammino verso i nostri figli ma anche di quanto tenacemente ognuna di noi lotti per arrivare a stringere fra le proprie braccia quel bimbo del cuore che il destino ha deciso di regalarci. Grazie Fabrizia e ti assicuro che se una futura mamma adottiva mi dice di avere qualche dubbio, le passerò il tuo numero di telefono perché sono sicura che saprai riaccendere quella fiammella che tutte noi abbiamo nel cuore e nella testa.
Conosco Fabrizia personalmente la considero una grande donna ed una grande madre. La sua storia triste ricorda la ns: abbiamo portato a casa ns figlio ma abbiamo dovuto sputare sangue…. vergognosi sono chi dovrebbe tutelatci ed invece sta “sul carro del vincitore”….. questa volta avevan calcolato male……i vincitori siamo noi….. ed i sorriso dei ns figli e’ la vittoria + bella della vita!!!♥