Ultima modifica 7 Maggio 2019
Alice nel Paese delle Meraviglie o meglio Alice in Wonderland di Lewis Carroll, penso sia uno dei libri più noti benché, probabilmente, uno dei meno letti in questa epoca moderna in cui la letteratura per l’infanzia offre meraviglie.
Prima di tutto vi voglio avvisare che sarà un post un po’ lungo perché il tema lo richiede, spero solo di non renderlo noioso!
Età di lettura? Stavolta è molto complicato, perché in versione ridotta può andar bene dai 4 anni, integrale dai 6 anni e in lingua originale dai 10 anni.
Mi sono avvicinata a questa storia un po’ coi piedi di piombo, perché come tutti penso, ero influenzata dal cartone Disney molto più alla portata della mia generazione rispetto al libro.
Alice nel Paese delle Meraviglie come forse non lo avete mai letto
Ho deciso, perciò, di fare uno studio a monte e questo mi ha portato a letteralmente adorare questa storia, ma soprattutto lo scritto, perché Carroll ha messo nero su bianco un gioco di parole che, per un’appassionata di lingua come me, è una meraviglia per gli occhi e le orecchie.
Ancora ritorna la meraviglia …
Innanzitutto due cenni per inquadrare l’autore.
Charles Lutwidge Dogson (che con un gioco di parole dalla traduzione latina del suo nome Carolus Ludovicus, è diventato il famoso alias) era un insegnante di matematica di epoca vittoriana, quindi siamo nell’Inghilterra di inizio 1800.
Un personaggio particolare, con una doppia faccia, non voglio dire personalità: ombroso, balbuziente, cupo con gli adulti e fantasioso, senza traccia di balbuzie in presenza di bambine. Solo femmine.
Pedofilo hanno detto moltissimi.
In realtà dobbiamo tener conto della morale dell’epoca vittoriana in cui viveva, per cui la purezza e l’ideale di bellezza risiedeva nelle bambine e non nei maschietti considerati dei “cosi” quasi senza intelligenza.
Charles amava la pronta intelligenza femminile tipica delle bambine e con loro riusciva, come disse Virginia Wolf, a “fare ciò che nessuno aveva mai fatto: tornare al mondo dell’infanzia, quell’infanzia che gli era rimasta dentro” (più o meno lo stesso commento che fece Walt Disney quando si innamorò della sua fiaba).
Alice Liddell, l’Alice a cui è ispirata e dedicata la storia omonima, era una bambina molto amata da Dogson/Carroll: sveglia, pronta di parola, capace di giocare con la parola come pochi adulti che lui avesse conosciuto.
Forse di lei anche si innamorò e voci di corridoio dicono che avesse chiesto alla madre di averla in sposa una volta cresciuta, non lo sappiamo. Sappiamo solo che Carroll fu allontanato per un po’ dalla famiglia Liddell. Ma a noi questo non importa …
Ci importa sapere che la pronta intelligenza di questo maestro di matematica sui generis, appassionato della nascente arte della fotografia con cui si dilettava scattando ritratti alle bambine (madri consenzienti ovviamente), abbia creato questa meraviglia linguistica, psicologica e narrativa che è Alice nel Paese delle Meraviglie.
Passiamo alla storia.
La trama la conoscete tutti no? E comunque è talmente variegata e complessa che raccontarvela sarebbe impossibile.
Fatemi solo un favore.
Dimenticate il cartone animato e il film di Tim Burton a cui si è ovviamente ispirato probabilmente per accattivare il pubblico, perché molti personaggi e storie appartengono in realtà ad Alice nello specchio.
Seguendo un bizzarro coniglio vestito di tutto punto che corre disperato del suo ritardo, Alice finisce in mondo in cui tutte le regole a lei note e che connotano il mondo e le sue certezze, sono capovolte.
Se avete figli che se la cavano bene con l’inglese, suggerite loro di leggerlo in lingua originale, è molto molto semplice. Del resto era pensato per bambini (sapete che Alice in Wonderland è il primo libro pensato solo per il diletto del piccolo lettore, senza intento moralistico?), e potrete apprezzare tutti i giochi di parole che in italiano, naturalmente, è complicato rendere se non in alcuni casi impossibile.
Alice in questo mondo fantastico è una bambina fantastica.
Molto saggia, ma pur sempre infantile. Accetta le novità, ma per la sua rigida morale vittoriana per cui le cose possono essere solo in un determinato modo, cerca sempre di confutare e spiegare con ciò che le è noto tutte le cose che le capitano in questo regno.
Carroll gioca molto con questa morale e le filastrocche storpiate all’interno del racconto ne sono la prova.
Cosa vuole dimostrare?
Dimostrare forse niente, ma almeno insinuare il dubbio in Alice, e quindi nel lettore, che ciò che si insegna come verità assoluta di valore morale è relativo.
Relativo al contesto sociale e storico.
Geniale.
Alice lo capisce così bene che con tutti i suoi crescere e rimpicciolire ingerendo qualcosa (liquidi o solidi), alla fine, nell’assurdo processo al cavaliere per il furto delle torte, non può che crescere suo malgrado, perché dopo ciò che ha vissuto in questo sogno non la può lasciare uguale a come era prima.
Ha vissuto, seppure non nella realtà, un’esperienza di crescita di cui ha saputo fare tesoro, tanto che quando si sveglia, anche sua sorella la vede diversa.
Dai vi parlo un po’ dei giochi di parole?
La “long tale” del topo non è solo la sua lunga coda, ma anche una lunga storia, impossibile da rendere in italiano. Così come la storia sconclusionata che racconta il Ghiro al tè del Cappellaio Matto, di tre sorelle che vivono “in a well” (che vivono in un pozzo, ma anche che ci vivono bene), o gli intercalari intesi alla lettera come ” … you know” a cui i personaggi rispondono indispettiti “NO! I DON’T KNOW!”.
Per non parlare del Gatto del Cheshire che sembra l’unico a essere semi lucido e infatti Alice in tre occasioni si confronta con lui come per avere spiegazioni, riuscendo ad abbozzare una conversazione che abbia un senso.
Una curiosità: sapete dove nasce il personaggio del Cappellaio?
All’epoca si diceva “essere matti come un cappellaio” per via delle esalazioni di mercurio con cui erano a stretto contatto i cappellai per lavorare il peltro dei cappelli!
Ragazze, perdonatemi, andrei avanti per ore.
Vi parlerei delle tre edizioni di Alice disegnate e colorate da Tenniel (la prima col vestito azzurro, la seconda in versione pocket col vestito rosso e la terza ridotta per i bambini piccoli col vestito giallo).
Del problema della prima stampa totalmente rifatta (all’epoca si stampava col sistema dei caratteri inseriti uno per uno e le tavole in legno venivano intarsiate ad hoc per essere impresse sulla carta…) perché al pignolo Tenniel non piacevano.
E di molto altro ancora, ma non ho tempo… è tardi! è tardi!
Tra l’altro questo sarà il mio ultimo articolo, perché ho iniziato un percorso universitario che non mi lascerà molto tempo, purtroppo.
Al contrario di Alice che chiedeva al Gatto del Cheshire “Da che parte devo andare?” a cui lui rispondeva “Non ha molta importanza se non sai cosa cerchi”, io so cosa cerco e sto andando dritta in quella direzione!