Ultima modifica 28 Giugno 2019

Io amo il cinema e ieri ho avuto la possibilità di assistere all’anteprima del film “Anna Karenina” diretto da Joe Wright. Esso è tratto dall’omonimo romanzo di Lev Tolstoj, ambientato nella Russia di fine ’800 e la protagonista è appunto Anna, sposata senza amore ad un alto funzionario. Lo scrittore racconta la passione improvvisa e tragica della donna per il giovane Conte Vronskij. Parallelo a questo amore infelice è quello felice di Kitty e Levin, un personaggio nel quale Tolstoj si è molto riconosciuto.

Prima di parlarvene è doveroso, però, fare una premessa. Quando ero un’adolescente, ho letteralmente divorato tutti i classici francesi, russi, tedeschi. Passavo soprattutto le estati a leggere e più i libri erano voluminosi, più erano le pagine, più io ero felice, perché era come se non potessero finire mai. Quelle storie diventavano le mie storie e io ero, di volta in volta Anna, Emma, Elisabeth…insomma, grandi donne, eroine, che si struggevano per amore e spesso facevano pure una brutta fine! E anche gli uomini non erano da meno. Anche loro si innamoravano profondamente con uno sguardo, erano fedeli, pazienti, per tanto tanto tempo e non si facevano scoraggiare da alcuna avversità! Altri tempi, direte voi, ma a 15 anni si ha il cuore pieno di sogni e di emozioni e si desidera vivere, almeno una volta, una passione del genere.

Potete ben immaginare con che animo sia andata ieri a vederlo, perché, se fatto bene, è sempre molto emozionante veder trasposto in immagini, le parole sulle quali hai sognato! Naturalmente tutti sanno che è impossibile trasferire un romanzo, soprattutto uno così lungo, in un film di due ore. E infatti il regista ha eliminato molte parti, lasciando solo quelle incentrate sull’amore delle due coppie, perché il tema centrale del film è appunto, l’amore: l’amore filiale, l’amore passionale, l’amore per la patria…

E quale approccio migliore per raccontare questa epica storia d’amore, se non quello teatrale? Wright parte dal presupposto che in questa società tutti interpretino una parte e allora decide di rappresentarla come in un teatro. Un approccio audace e anche visionario, ma ben riuscito in quanto gli attori, come avviene a teatro, si liberano dagli artifici e il pubblico viene, come per magia, trasportato nella Russia dell’XIX secolo e soprattutto all’interno del mondo dei personaggi! E anche il set dove si svolge l’odissea di Anna è un vero e proprio teatro, un teatro in rovina che vuole rappresentare la decadenza della Russia  zarista, mentre il viaggio di Levin avviene nel mondo reale e i due universi sono come paralleli.

Il lavoro è stato imponente: 12 settimane di riprese, 100 set differenti, due dozzine di ballerini professionisti che fanno da sfondo ai grandi interpreti del film. Keira Knightley impersona in modo magistrale Anna, riuscendo a tirare fuori i lati bui del personaggio, che la rendono quasi un’antieroina; Jude Law, nella parte del marito, altera il suo aspetto fisico fino a perdere ogni traccia del sex simbol che è, per trasmettere la calma e la dignità di un rispettato membro della società a cui appartiene. Non è freddo o cattivo ma semplicemente non sa amare perché, forse, non gli è mai stato insegnato! AAron Taylor-Johnson è il conte Vronsky, che, da giovane arrogante e superficiale, si trasforma in amante generoso e appassionato. E poi tutti gli altri attori che si completano a vicenda, da Emily Watson a Matthew MacFayden, per non parlare delle musiche del compositore Dario Marianelli e delle coreografie di Sidi Larbi Cherkaoui.

Insomma, il film non ha deluso le mie aspettative, una volta compreso il messaggio e le intenzioni del regista, ma tornando a casa, ho fatto delle riflessioni tra me e me. E cioè ho pensato a come, alla soglia dei 40 anni e con due figli, io abbia considerato questa grande passione in maniera diversa da come l’ho sognata a 15 anni.

La ragazza adolescente che ero, timida e romantica, ha sognato con la storia d’amore di Anna e Vronsky e ha pianto di lacrime sincere la morte di questa eroina che si struggeva a tal punto da abbandonare persino l’amato figlio.
Beh, la donna che sono diventata adesso, più sicura, più consapevole, ma soprattutto, mamma di due splendidi bambini, ha storto un po’ il naso, dubbiosa, sul fatto che si possa scegliere per amore, di perdere i figli e soprattutto di togliersi la vita per un uomo.
Ho perso in romanticismo? Forse … ma è meglio così! Del resto, rimane sempre il cinema a  farci sognare, no?

Rachele Masi

La redazione del magazine. Nato nel maggio 2013, da marzo 2015, testata registrata al tribunale di Milano. Mamme di idee rigorosamente diverse commentano le notizie dell'Italia e del mondo, non solo mammesche.

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