Ultima modifica 16 Gennaio 2017
Più passano gli anni e più incontro e conosco bambini – oltre ad arricchirmi con la mia esperienza di mamma – più mi convinco che i piccoli abbiano molto da dare e da insegnarci.
Troppo spesso noi adulti ci approcciamo a loro come se sapessimo già tutto – cosa vogliono, di cosa hanno bisogno e cosa è meglio per loro – perché magari lo abbiamo letto su qualche manuale, perché ce l’ ha suggerito l’amica o la vicina di casa o semplicemente perché seguiamo supposizioni e congetture nostre.
Non dico che sviluppare pensieri e/o confrontarsi con altre mamme, come anche leggere e documentarsi, sia sbagliato, tutt’altro. Tuttavia ritengo che troppo spesso le nostre convinzioni come anche i nostri schemi mentali (precostituiti e talora rigidi) prendono il sopravvento e finiscono per guidare i nostri comportamenti e le nostre reazioni, senza coltivare parallelamente la capacità di ascoltare e di osservare cosa, invece, ci vogliono comunicare i nostri figli.
Fin da piccoli, i bambini comunicano e lo sanno fare in modo sorprendentemente chiaro, se solo ci sintonizziamo su di loro.
Pensiamo al neonato: nonostante sia appena nato e non conosca la nostra lingua, in quanto da poco catapultato in un mondo per lui strano e diverso dal suo habitat uterino e non ancora in grado di produrre parole, sa comunicare molto bene… se e quando ha fame, piange e il suo pianto è decisamente diverso da quello di quando ha sonno, come anche dal pianto sofferente di quando è disturbato dalle noiosissime e dolore coliche.
All’inizio mamma e papà vanno un po’ in crisi perché devono ancora imparare a decifrare e quindi a comprendere il suo pianto, che però, in virtù di un attento ascolto e di una quotidiana osservazione, diventeràa poco a poco chiaro…
Il pianto del neonato è un esempio chiaro e vivido di come si possa comunicare anche senza parole – tanto è vero che contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, il 90% della comunicazione anche fra adulti è di tipo non verbale – e soprattutto di come anche i bambini, fin da quando sono appena nati, siano in grado di comunicare in modo chiaro e diretto quello che vogliono, che chiedono e di cui hanno bisogno. Tracy Hogg lo spiega molto bene, con esempi concreti, nel suo libro “Il linguaggio segreto dei neonati” (2004).
Non più tardi di ieri, mia figlia– ventidue mesi- mi chiedeva chiaramente di giocare con lei: casa affollata di parenti, io indaffarata a preparare cose e dedita anche agli ospiti, non le davo sufficienti attenzioni e soprattutto non ero disponibile a giocare. Se anche non ne fossi stata cosciente, ci ha pensato mia figlia a dirmelo a chiare lettere: ad un certo punto, quando evidentemente la sua capacità di tolleranza era arrivata al limite, mi è venuta attorno, mi ha strattonato per la gonna e con aria ferma mi ha detto “mamma, neni” (traducendo, significa “mamma, vieni”, voleva che lasciassi quello che stavo facendo), “mamma, neni ni!!!” (ovvero, “mamma, qui” indicandomi la sala dove lui ha gran parte del suo mondo di giochi) e poi ancora “mamma ponno” (perché voleva giocare con pentolini e pongo a far finta di preparare la pappa, cosa che, guarda caso, avevo fatto nella mattinata, ma ahimè senza coinvolgerlo…e adesso lui lo proponeva di rifarlo insieme).
Mia figlia non è speciale, è una bambina come tante altri che chiede e in certi momenti, giustamente, pretende attenzione e dedizione e lo sa chiedere in modo chiaro e comprensibile, se solo sintonizzo e sintonizziamo la frequenza dell’ascolto. Purtroppo in situazioni come quella di ieri che vi ho appena descritto, spesso capita che, prese dalla fretta, dall’incombenza delle cose da fare, dagli altri e da preoccupazioni nostre, non ascoltiamo abbastanza, liquidiamo la situazione dicendo quella fatidica parola – che a mio modesto modo di vedere, deve essere odiosa per i bambini – “aspetta”…aspetta un momento che rischia di non arrivare mai.
I bambini sono straordinari non solo perché sanno comunicare in modo sorprendentemente chiaro che cosa vogliono o di cui hanno bisogno fin da quando nascono, ma anche perché se diamo loro la possibilità, sanno darci più di quello che pensiamo, anche in termini di intuizioni, suggerimenti espunti di riflessione.
Infatti in parte per il loro essere così piccoli e apparentemente indifesi e in parte per fallaci convinzioni che hanno caratterizzato la storia passata della psicologia per cui i bambini sarebbero stati come esseri da plasmare (tabula rasa), siamo indotti a pensare che i piccoli siano “da guidare, da educare e da gestire”…queste sono le parole che sento ricorrere quando si parla di figli. Troppo spesso, al contrario, dimentichiamo che i bambini sono persone e individui a se stanti, con un loro carattere (sebbene in formazione), con gusti e interessi propri e con un loro pensiero che, per quanto semplice e non ancora complesso e maturo come quello adulto, è capace di riflessioni e osservazioni importanti e acute.
Non più tardi di due giorni fa, una cara amica mi raccontava che la figlia di cinque anni e mezzo era stata messa in punizione a scuola (materna) e lei si era difesa andando dalla maestra e dicendole: “io faccio la punizione ma non sono stata io. Non posso dire chi è stata, perché un’amica non si tradisce”.
Gli esempi che potrei riportare sono tanti, perché tante sono le occasioni in cui i bambini ci sorprendono con le loro intuizioni, con il loro acuto spirito di osservazione e con il loro pensiero genuino e semplice ma spesso anche molto profondo, con la loro capacità di esprimere apertamente quello che pensano e quello che provano, liberi da sovrastrutture mentali e quindi da condizionamenti che finiscono per complicare sia il modo di pensare che di agire degli adulti.
Se anziché partire dalla fallace convinzione di sapere cosa sia giusto e sbagliato e di procedere per schemi mentali convenzionali, ci sintonizzassimo di più su di loro, sia ascoltando cosa vogliono dire, sia dando più credito e attenzione a ciò che dicono e osservando il loro modo di agire e anche di giocare, avremmo molte risposte ai nostri dubbi e alle nostre preoccupazioni (Starà bene? Sarà contento?), impareremmo a conoscerli meglio e ci arricchiremmo moltissimo, come nel caso del bambino descritto sopra che in un breve episodio, ha dato alla mamma e a me stessa, che ascoltavo la storia, un insegnamento di vita recuperando il senso e il valore vero dell’amicizia.