Ultima modifica 27 Agosto 2020
E’ di qualche giorno una sentenza della Corte di cassazione destinata a cambiare la vita di molti divorziati, che ha stabilito nuovi criteri per il mantenimento, battezzando l’ assegno per autosufficienza.
Assegno per autosufficienza, non più per mantenere un tenore di vita
Un’altra sentenza storica in fatto di divorzio, dopo quella del divorzio breve di pochissimi anni fa.
Fino a prima di questa sentenza quando due coniugi divorziavano, il giudice stabiliva un assegno di mantenimento da versare a favore del coniuge più svantaggiato economicamente.
Questo perché l’articolo 143 del codice civile stabilisce il mantenimento reciproco tra coniugi.
Da qui la conseguente legislazione in materia di divorzio. Il dovere di contribuire alle esigenze della famiglia in pratica non viene meno allorquando due coniugi decidono di divorziare.
Assegno per autosufficienza e assegno di mantenimento
Un coniuge che necessita di sostentamento perché privo di reddito, o insufficiente per adempiere alle proprie necessità riceve un assegno di mantenimento dall’ex coniuge.
Fino a due giorni fa tale corresponsione era valutata seguendo il criterio di una somma adeguata a consentire il mantenimento del tenore di vita adottato in costanza di matrimonio.
Il casus belli è il divorzio tra l’ex ministro Vittorio Grilli e la sua “sfortunata” ex consorte Lisa Caryl Lowenstein. Sposati nel 1993. Si potrà immaginare dunque che stiamo parlando di tenori di vita “abbastanza” elevati rispetto agli standard di un italiano medio. E si potrà altresì immaginare che quell’ assegno per autosufficienza a molti sembrerà comunque uno sproposito in termini di importo.
Insomma, per farla breve. La Corte di Cassazione, con sentenza n. (ricordatela mi raccomando) 11504 ha respinto i ricorso della signora Lowestein. La quale reclamava un assegno “commisurato” al suo stile di vita da sposata.
La motivazione? In pratica, dice la Cassazione, le tocca un assegno per autosufficienza.
La suprema Corte avrebbe divelto i precedenti principi del codice civile, e le precedenti sentenze.
Nel 2004 infatti, la Cassazione si era espressa in modo opposto. Stabilendo che se prima della separazione i coniugi avevano concordato o, quanto meno, accettato che uno di essi non lavorasse, l’efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione”. Ciò poiché, in sostanza, la separazione “tende a conservare il più possibile tutti gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza” (Cassazione Civile, sentenza n. 5555 del 19 Marzo 2004 – Fonte: Studio Cataldi ).
Con la sentenza odierna invece si fa un passo in diversa direzione.
I tempi sono cambiati, si legge. Bisogna “superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva. … E’ ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. … Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale”.
Ecco dunque che con il divorzio cade ogni rapporto tra due coniugi. Non solo quello affettivo, ma anche quello economico e patrimoniale.
E a niente serve che magari in precedenza i coniugi avevano concordato che uno (la moglie) avrebbe fatto bene a stare a casa per “mantenere solido il rapporto” e curare gli interessi della coppia.
Che poi a volere sentire nello specifico la ex signora Grilli, sembra proprio che sia andata così.
In una intervista a Repubblica infatti la signora, di origini americane, avrebbe affermato che il marito le consigliò di smettere di lavorare poiché i suoi impegni da moglie di ministro sarebbero stati tali e tanti da consentirle una vita agiata e piena di ricchezza e libertà.
La poveretta avrebbe dunque suo malgrado accettato di seguire il marito a cene eleganti, avrebbe suo malgrado acquistato abiti e gioielli costosi, tutto con estremo sacrificio.
E invece di lavorare ha passato una decina d’anni dividendosi tra una cena con ambasciatori e una serata di beneficienza, salvo poi far causa al marito perché non le consentiva lo stesso tenore di vita dopo il divorzio.
Anzi, la Cassazione ha lei assegnato un assegno per autosufficienza irrisorio rispetto alle sue richieste.
E per le altre?
Certo chissà quante ex mogli adesso inveiranno contro questa sentenza.
Io invvece, che per principio generale sto sempre dalla parte delle donne, stavolta mi sento di dare ragione alla Cassazione.
Dando per certo che chiunque sia raggiunto da un provvedimento giudiziale debba onorarlo (non parlo dunque dei mariti che si smaterializzano davanti al giudice che sancisce il mantenimento alla ex moglie ovviamente), sto fatto che un uomo, ma anche una donna per carità, debba mantenere all’ex coniuge lo stesso tenore di vita del matrimonio, a discapito del proprio, lo trovo ingiusto.
Quante volte ho visto uomini svenarsi per questi mantenimenti. Che oltre ai figli, alla casa e alle spese extra non possono rifarsi una vita perché in tasca dopo l’assegno non gli rimane altro che qualche ragnatela.
E quante donne poi, non tante dai, ma alcune si, fanno affidamento su questo assegno proprio per evitare di rimettersi in gioco lavorando, o comunque non cercando strenuamente una propria indipendenza economica?
Che poi, non ci dimentichiamo che questa sentenza ridimensiona l’ assegno per autosufficienza nei confronti della moglie. Quello per i figli resta fuori dalla querelle. Quando in un divorzio ci sono figli minori, in quel caso il coniuge più economicamente solido corrisponde comunque il mantenimento per i figli.
Infine, quando l’altra sera in famiglia abbiamo sentito al tg di questa sentenza, il mio primo pensiero è andato a una signora che tutte noi conosciamo. E che era riuscita ad avere un assegno di mantenimento da brivido. E per una volta nella mia vita mi è venuto di stringere virtualmente la mano al suo ex marito, il signor Silvio Berlusconi!