Ultima modifica 28 Aprile 2021
“Ad un certo punto non capisco più nulla e ho solo bisogno di tagliarmi…”
Questa è solo una delle storie che ho ascoltato nelle ultime settimane.
Storie di lame che fendono braccia, gambe, piedi…
L’autolesionismo sta diventando un’emergenza sociale, anche se il mondo adulto non riesce ad accorgersene. Perché i ragazzi si tagliano e i genitori non vedono. E non solo si tagliano: si bruciano, si impongono regimi alimentari al limite della sopravvivenza, si fanno del male con droghe più o meno leggere.
Insomma: si provocano dolore. Consciamente o meno.
Sì, perché il più delle volte non sono consapevoli di farsi del male. Di infliggere un danno al proprio corpo o alla propria anima.
Ma perché lo fanno?
Dalle storie che ho raccolto i motivi sono i più diversi.
Il meno preoccupante è una strategia di difesa. Della serie “Mi taglio perché così pensano che sono strano e mi stanno lontani“. Che non è un affare semplice: se hai paura del mondo e hai necessità di proteggerti significa che il timore del giudizio dell’altro è così importante che sei disposto a qualsiasi cosa pur di non essere ferito. E il punto di partenza non è tranquillizzante.
Poi ci sono quelli (o quellE, soprattutto) che lo fanno perché altrimenti sembrano “sfigati” rispetto agli altri. Che è come dire: “Io lo faccio e sono forte, se tu non fai lo stesso non vali niente“. Si tratta di ragazzi (e ragazze) che hanno un forte bisogno di riconoscimento da parte del gruppo e che – anche in questo caso – sono disposti a tutto. In difficoltà nel riconoscere il senso del limite e fin troppo succubi del giudizio altrui che determina la costruzione del proprio sé.
Infine ci sono quelli che non hanno necessità di avere intorno altri per tagliarsi. Lo fanno perché hanno bisogno di punirsi, di infliggersi un danno per sopportare il senso di colpa perché qualcosa che fanno (o che sono) non ha abbastanza senso. Della serie “Io sono sbagliato e quindi devo punirmi per trovare pace“.
Farsi del male sembra essere la moda degli adolescenti di oggi.
E noi adulti dove siamo?
La maggior parte delle volte da un’altra parte. Una qualsiasi.
Perché non ci accorgiamo, non vediamo, crediamo non sia possibile. Non ai nostri figli, insomma. Che diamine: siamo attenti, li abbiamo educati al rispetto di sé, siamo sicuri che siano forti e che sappiano affrontare il mondo.
Io stesso mi ripeto ogni giorno che mia figlia non cadrà mai in questo problema, che sono attento, che queste cose in casa mia non potranno mai entrare, che è un problema di altri.
E sto commettendo il primo errore,
il più grande.
Perché mia figlia ha smesso di essere “mia” nel momento in cui è entrata in contatto con il mondo. Con i suoi coetanei, con visioni del mondo che sono diverse dalla mia, con la rete che propone (impone?) “giochi” e prove di adultità che io non sono in grado di conoscere fino in fondo. Insomma, di un mondo che è lontano dal mio. Perché proprio settimana scorsa, al rientro a scuola dopo le vacanze di Natale, la bomba è scoppiata: diversi genitori hanno raccontato che questo fenomeno è ben presente nella nostra realtà. Una scuola secondaria di un piccolo paese di provincia, un gruppo di ragazzine di 12 anni che sono (ancora ai nostri occhi) delle bambine. Che si tagliano. E che condividono i propri tagli con i coetanei tramite i social, mandandosi messaggi su WhatsApp.
Infatti, negli adolescenti di età compresa tra i 12 e i 16 anni, si riscontrano spesso forme di autolesionismo, solitamente praticati con tagli o bruciature sulle braccia le cui cicatrici vengono coperte con bracciali, bandane o maniche lunghe. Ma non solo braccia. Parti del corpo sempre più nascoste agli adulti.
Ed ecco che il problema, immediatamente, diventa di tutti.
Dove i “tutti” sono adulti che arrivano in ritardo di settimane rispetto al problema. Come sempre.
A cosa fare attenzione, dunque?
L’autolesionismo è un fenomeno che coinvolge ragazzi che hanno una scarsa autostima di sé, che si sentono in difetto rispetto al mondo, che si sentono in colpa, che non si sentono all’altezza. Al netto di quello che noi pensiamo di loro.
Perché il problema è sempre il solito: noi genitori pensiamo sempre che l’emergenza non tocchi noi. Ma non è sempre così, anzi: non è mai così!
Smettiamola di pensare che certi problemi non siano di nostra competenza, che alcune difficoltà non toccheranno mai i nostri figli, che siamo così certi di quello che abbiamo seminato, che sia sempre qualcosa che tocca agli altri.
Perché i nostri figli sono figli del mondo e non più nostri. E questo significa che dobbiamo tenere gli occhi aperti. O ci perderemo dei pezzi importanti.
Fondamentali, direi.