Ultima modifica 15 Luglio 2019
La scuola è un po’ come una stazione. C’è chi parte e chi arriva.
Chi arriva a volte è italiano e a volte no.
Noi insegnanti non siamo sempre pronti, anche se con l’inglese e il francese ce la caviamo; ma è ovvio che in generale non possiamo comunicare in altre lingue.
Però i bambini italiani e stranieri che sorridono insieme, fin dal primo giorno di inserimento, attraverso i giochi, le attività in cui ci sostiene la tecnologia, diventano una classe nuova e arricchita.
Di crocifissi “ingombranti “ e di recite natalizie sospese abbiamo sentito parlare in tv…due-tre volte, (15 volte al giorno per settimane…ma sempre quelle 2-3 erano)?
Quindi nelle altre 37.946 scuole tutto bene, a parte qualche problema di routine o di piccola (inutile) polemica.
I bambini stranieri in Italia entrano a scuola e stanno bene, in genere.
Arriva quest’anno nella nostra classe quarta un bambino australiano. Parla inglese…ma un inglese “familiare” e non dà l’idea di conoscere gran parte del linguaggio specifico delle varie discipline. Un po’ di difficoltà c’è. Ma lui, ripeto, sta bene a scuola. Ha iniziato a giocare dal primo giorno e poi, complimentoni ai nostri bambini che lo hanno accolto, come se ci fosse sempre stato.
Qualche anno fa, in quinta, arriva una bambina cinese: Italiano 0 – Cinese 3.
I primi quattro mesi il linguaggio universale dei numeri ha fatto da padrone…il resto un disastro: niente storia e geografia, scienze solo per immagini; riassunti, testi, grammatica…niente.
Molto lentamente siamo arrivati alla comunicazione essenziale in lingua italiana, attraverso una alfabetizzazione costante, graduale…caratteristica di una classe prima e con l’ausilio di testi specifici per l’apprendimento della lingua italiana da parte di alunni stranieri (meravigliosi).
Ci vuole molto tempo da dedicare. Molto tempo da dedicare
Ma in Italia diminuiscono pure le ore di lezione…e gli insegnanti.
L’Italia, un paese di grande immigrazione ormai da decenni, sembra essersi accorta di questa realtà…solo in parte.
Io andrei oltre l’accoglienza, l’attenzione al bambino e alla famiglia, il coinvolgimento, l’inclusione. Questi elementi ci sono sempre, sono dovuti, necessari, fondamentali.
Parlo stavolta di aspetti pratici che, per come la vedo, neanche dovrebbero essere oggetto di discussione, neanche dovrebbero essere oggetto di richiesta: un periodo di pre-scuola per alfabetizzare i bambini stranieri in evidente difficoltà linguistica e quindi di comunicazione.
Poi magari istituiamo mille stratagemmi burocratici (obiettivi minimi, schede di valutazione speciali, esenzioni dai test, 6 politici) per giustificare le carenze ovvie nel loro corso scolastico italiano e, visto che non hanno altri strumenti per affrontare la nostra lingua, meno male!!!
A Barcellona esistono quattro centri speciali che non rientrano nell’ordinamento scolastico, per giovani immigrati dagli 8 ai 18 anni, che sono diventati “spazi di benvenuto educativo” (un’espressione bellissima) dove imparano la lingua, per inserirsi meglio nella scuola ordinaria.
Sono come le corsie di immissione in superstrada: con una velocità adeguata hai la possibilità di raggiungere la maggiore velocità degli altri alla fine del corso.
Noi in Italia siamo molto filosofi su questo argomento. Ma purtroppo devo dire che in classe non si fa filosofia (cioè, facciamo pure quella, ma era un modo di dire).
Mi lamento? Sì, perché purtroppo nella nostra scuola primaria si vogliono fare “le nozze con i funghi…pure approssimate”.
Alla fine, al prezzo di uno, abbiamo due insegnanti che fanno tre lavori nello stesso tempo. Certo…con due mesi di vacanza! Il tempo è denaro…si sa.
Ci sarebbero tante di quelle soluzioni con soldi spesi meglio e riforme un po’ più accorte verso la professionalità docente e l’utenza, pensando (in senso assoluto), prima di tagliare risorse umane, e dando voce ai reali bisogni della scuola italiana di oggi.
Le sole iniziative sono frutto dell’autonomia scolastica (nella scuola di Rivoltella del Garda, 10 anni fa, c’era un’insegnante dell’organico, in “eccedenza” rispetto al bisogno, che dal primo giorno di scuola prelevava dalle classi i bambini stranieri per 3 ore e faceva prima alfabetizzazione con un progetto a sé…poco, ma tanto), ma per quello che penso, dovrebbe essere un’esigenza tecnica specifica della Scuola, valida per ogni istituzione, quella di far entrare in una classe bambini capaci almeno di esprimere i propri bisogni e di comprendere in parte il lavoro che si svolge. Sarebbe anche un segno di maggiore rispetto.
E poi tutor, interprete…realtà di normale amministrazione in tante scuole del mondo, a noi completamente sconosciute.
Dirò una cosa antipatica, ma troppo spesso si conta sulla sensibilità dei lavoratori della scuola che non si tirano in dietro davanti a nulla, perché chi sceglie di lavorare con i bambini, nel 90 % delle situazioni, non si può permettere di dire “non mi compete” e in quelle situazioni non lo farà mai.
Ylenia Agostini
È quando è il bambino italiano ad essere lo straniero? Nelle scuole in cui soo andati i miei figli, pubbliche, ci sarebbero i tutor ma sanno solo lo spagnolo perché qui tendenzialmente gli stranieri sono messicani. Allora permettono ai genitori di stare in classe! Seguivo la lezione così da tradurre a mia figlia, e la sera le facevo fare i compiti spiegandole la materia con lo stesso metodo dell’insegnante per non confonderla! Poi quando era l’ora della lettura ci mettevamo nella stanza accanto all’aula in modo che potesse leggere ad alta voce.
Insomma, forse se anche in Italia si permettesse l’accesso dei genitori in aula… Che poi sono anche un grande aiuto: fanno le fotocopie, aiutano ad attaccare i disegni ai muri, aiutano a correggere i compiti…
Molto bella l’iniziativa! Farebbe comodo sicuramente è il bambino sarebbe più a suo agio. Ci si può pensare direttrice permettendo.