Ultima modifica 19 Gennaio 2021
“Piango fin che mi pare e piango più che posso.
Piango perché non so parlare.
Piango per solidarietà con i miei amici.
Piango come piangono i bambini in tutto il mondo.
Piango così qualcuno prima o poi verrà.
Piango perché non so cosa fare.
Piango perché sono stufo di guardare il soffitto bianco.
Piango perché ho fatto tanta cacca.
Piango perché ho caldo, perché ho freddo,
perché sto bene, ma non voglio darvi la soddisfazione.
Piango non so perché, ditemelo voi se lo sapete,
oppure chiedetelo al pediatra che lui ha studiato.
Piango perché per ora è la cosa che so fare meglio.
Piango perché così creo un gran bel putiferio.
Piango perché anche voi alla mia età piangevate.
Non ricordo più perché ho iniziato a piangere,
ma prima un motivo sono sicuro che c’era.
Ovviamente piango perché ho fame e non
arrivo ancora alla maniglia del frigo.
Dopo il pasto piango perché ho mangiato troppo
e ho l’aria nella pancia.
Piangere però non fa male, non si muore di pianto,
anzi se non piangessi morirei.
Quando piango sono sicuro che vi ricordate
di me e che state male per me.
In realtà io non piango mai per niente, quando piango è perché voglio
qualcosa e alla mia età i desideri e bisogni corrispondono sempre.
Perciò non preoccupatevi troppo e sforzatevi invece di capire
di cosa ho bisogno così ci mettiamo tutti calmi e tranquilli.
E fra poco si ricomincia..” (A.Volta)
Sta per nascere un bambino.
In quel momento i secondi sono interminabili, sono tutti lì sospesi ad aspettare il suo primo pianto, segno inconfondibile di vita. I genitori lo sanno che quel pianto, quella voce, li accompagnerà e li guiderà per tutti i primi mesi.
Si, perché il pianto è l’unico modo che i neonati hanno per esprimersi e che dà significato ad innumerevoli bisogni diversi che conoscendosi, osservando e coccolando il bambino diventano col tempo comprensibili e riconoscibili.
Come può essere allora che quello stesso pianto sia causa di atteggiamenti violenti verso il proprio bambino?
Il pianto prolungato e apparentemente inconsolabile è generalmente l’evento scatenante che determina lo scuotimento del bambino e che può causare gravissimi danni. Il fenomeno è conosciuto come “Shaken Baby Sindrome” (SBS) o “Abusive Head Trauma” (AHT); la sua sempre maggior diffusione è facilitata dalla totale assenza di conoscenza dei danni che possono derivare dallo scuotere il bambino.
I casi più frequenti di SBS si verificano tra le 2 settimane e i 6 mesi di vita, periodo di massima intensità del pianto del lattante (Purple Crying ): il bambino non ha ancora il controllo del capo perché i muscoli del collo sono deboli, la testa è pesante rispetto al corpo, e il cervello, di consistenza gelatinosa, se scosso si muove all’interno del cranio, e la struttura ossea è ancora fragile; lo scuotimento, anche se per pochi secondi, può portare a conseguenze gravi quali coma o morte del bambino.
La stanchezza fisica, il senso di solitudine, la frustrazione derivante dall’incapacità di capire e calmare il bambino a volte inducono il genitore a scuoterlo.
Spesso un genitore è inconsapevole di aver causato con il suo atteggiamento un danno al bambino.
E’ bene imparare ad osservarlo, in caso di SBS il neonato presenta evidenti segni e sintomi che meritano attenzione e approfondimento:
- vomito
- inappetenza
- difficoltà di suzione o deglutizione
- irritabilità
- disturbi respiratori
- convulsioni e/o alterazioni della coscienza
Per prevenire questo fenomeno è necessaria maggior consapevolezza dei danni che può causare:
- Disturbi dell’apprendimento
- Disabilità fisiche
- Danni alla vista o cecità
- Disabilità uditive
- Disturbi del linguaggio
- Paralisi cerebrale
- Epilessia
- Disturbi comportamentali
- Ritardo psicomotorio e ritardo mentale
- Morte
A livello nazionale, vista la preoccupante segnalazione dai neonatologi dell’aumento di casi di SBS, è nata una campagna di sensibilizzazione rivolta ai genitori “NON SCUOTERLO!” che merita ampia diffusione.
Proteggere i propri figli è un istinto innato di ogni genitore.
Avere un atteggiamento protettivo significa anche essere consapevoli, osservare e coccolare il proprio bambino, parlargli, ascoltarlo, stare a stretto contatto con lui, riconoscere i propri limiti e debolezze, chiedere aiuto.