Ultima modifica 20 Giugno 2019
Prendo spunto e parto, per quest’articolo, dalla visione del film premio Oscar La Grande Bellezza di Sorrentino.
Nonostante abbia faticato e non poco – anche perché, per entrare in armonia con il ritmo volutamente lento del film, ce ne vuole e le interruzioni pubblicitarie spezzavano quest’armonia, infastidendone la visione – ho trovato il film pieno di pennellate che valgono davvero la sua grande bellezza. Pennellate fatte di fotografia, grandi musiche e amare considerazioni sulla vita.
Non c’è una storia da raccontare, una trama da seguire. È piuttosto una storia vera, che riguarda tutti noi. Un cinico giornalista che, all’età di 65 anni, nel pieno di una vita mondana, vede con sempre più spietata lucidità tutta la disillusione che la vita gli ha riservato, lui autore di un unico grande romanzo scritto molti anni prima.
Tutto il resto è chiacchiericcio di sottofondo, è il “blablabla” della vita che ti sfugge, mentre tu cerchi disperatamente la bellezza.
Roma è solo una splendida cornice teatrale, dove il bello si spreca. Ma, come il protagonista, anche noi siamo annebbiati e non vediamo. Siamo coperti da una disillusa opacità che solo una vita notturna, fatta di festini e mondanità (il vuoto che si traveste a festa) sembra contare. Ciò che vale è l’apparire.
E qui devo fare un elogio a Sorrentino e allo stupendo dialogo di Servillo che, cinicamente, ironicamente e freddamente, esprime il suo pensiero sulla differenza tra essere e apparire alla donna/madre Stefania, sua amica, scrittrice radical chic. Chapeau!
Potrei davvero parlarne per ore e questo fa capire quanto questo film sia da interiorizzare, rielaborare piano piano. Non termina con il “the end” e va sicuramente rivisto più volte. Splendido Servillo, splendida la Ferilli e un Carlo Verdone nei panni di un autore teatrale, sconfitto dalla grande città che abbandonerà ben presto.
Bello, bello, bello.
Cosa c’entra tutto questo con la categoria adolescenti che mi riguarda?
Tutto. Questo film, dall’inizio alla fine, nonostante non ci sia un attore sotto i 40 anni, parla dei e ai giovani di oggi, non solo di quelli di ieri.
L’effimero, il tutto e subito, una vita notturna vuota e solo esteriore, il non saper gustare la bellezza che si ha a portata di mano e volerla cercar là dove non esiste, tra lo sballo e il facile divertimento, parla a tutti noi: genitori, educatori e ragazzi.
Nonostante ne siano rimasti alquanto distaccati, sono molto contenta che i mie tre figli grandi lo abbiano visto. Avranno capito qualcosina? Non ha importanza, è un film che ti fa riflettere e tornare su certi argomenti, anche a distanza di giorni.
Mi sbilancio e vado oltre: è un film che andrebbe proiettato nelle scuole superiori. Ecco l’ho detto.
Una speranza fuori da ogni logica, se pensiamo che in pochissimi licei hanno parlato di Mandela, quando ne hanno avuta l’occasione.
“Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è sempre stata la vita, nascosta sotto il blablabla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque che questo romanzo abbia inizio, in fondo è solo un trucco. Si, è solo un trucco”
Paola Bianconi