Ultima modifica 22 Aprile 2015
Era una calda mattina d’agosto. Eravamo nella nostra cascina sita sull’Appennino Tosco-Emiliano dove mio padre è cresciuto. Come ogni mattina si facevano le faccende di casa prima di andare in paese a fare la spesa. Il paese che ha dato i natali a Gianni Morandi.
Tutto normale finché… mia zia in tutta fretta ci chiama e ci urla: “UNA BOMBA! UNA BOMBA ALLA STAZIONE!”. Avevo 12 anni e una bomba, nonostante gli anni “caldi” era un concetto un po’ astratto.
Accendiamo di corsa la radio. Notizie ancora un po’ incerte sugli effetti e sul reale numero dei morti e feriti. I miei cugini, volontari della CRI prendono la macchina e vanno giù a Bologna. Circa 30 minuti d’auto. Sono rientrati in casa solo a tarda serata del giorno dopo. Mi raccontarono che anche gli autobus vennero usati per trasportare i feriti negli ospedali. Ricordo che mi rimase impresso questo fatto.
Il Resto del Carlino, il giornale di Bologna, parlava di decine e decine di morti… Furono poi 85 e oltre 200 i feriti.
Il 6 agosto, con mia mamma e mio papà (non ricordo se ci fosse qualcun altro) andammo davanti a San Petronio dove si tennero i funerali. La piazza era gremita. Noi eravamo in una delle vie di accesso alla piazza. Arrampicandomi su un pilastro potevo vedere le 8 bare. Ne vidi una piccina e bianca e chiesi ai miei genitori perché quella bara fosse bianca. La loro risposta mi spezzò il cuore…
Sentivo fischi e non capivo chi osava fischiare in un momento del genere…
Tornando a casa provammo a passare dalla stazione ma era tutto transennato. Ci tornammo l’anno dopo: nel punto della bomba c’era una lapide e sul muro hanno lasciato la crepa con un vetro. Per non dimenticare.
Non c’è altro da dire. Non si vuole, oggi, parlare di processo e condanne.
Si vuole solo RICORDARE, oggi.