Ultima modifica 18 Novembre 2021
In un recente intervento apparso su La Repubblica e ripreso da altri media il neuropsichiatra infantile Stefano Vicari sottolinea l’aumento di atti autolesionisti e di tentativi di suicidio tra gli adolescenti e, in qualche caso, anche tra i bambini.
Il Professor Vicari afferma che questa situazione è dovuta (anche) alla pandemia e alle restrizioni imposte. Si focalizza sull’importanza che per i nostri ragazzi hanno le attività sportive ed extrascolastiche in generale.
Personalmente, trovo assolutamente corrette queste considerazioni, così come la necessità di avvertire i genitori di questa situazione.
Tuttavia, ritengo che sia necessaria qualche precisazione sulle affermazioni del Professor Vicari che, per come appaiono sui giornali, mi sembrano piuttosto tranchant. In particolare, mi pare che il messaggio che può passare in questo caso sia il seguente: in un periodo di pandemia come quello che stiamo vivendo, a causa delle restrizioni e delle limitazioni a cui siamo sottoposti, tutti gli adolescenti e i bambini sono propensi a sviluppare autolesionismo o a tentare il suicidio.
Mi permetto di dire che le cose non stanno esattamente così.
Queste tipologie di comportamento hanno origini in un disagio molto profondo vissuto dai ragazzi. Si tratta di un tipo disagio difficilmente classificabile in delle categorie psichiatriche. E’ estremamente intimo, varia da persona a persona ed è dovuto a un numero di cause e concause differenti. Per esempio, traumi, relazioni familiari e personali fallimentari o insufficienti, bisogni di intimità e vicinanza non soddisfatti, carenze affettive profonde come voragini.
L’arrivo della pandemia e le conseguenti restrizioni hanno fatto emergere e, per così dire, innescato o fatto esplodere queste difficoltà in modo prorompente.
Ciò che le medie statistiche o, in generale, i “freddi numeri” non possono raccontare sono le storie di difficoltà che ciascuno dei ragazzi e delle ragazze ricoverate in ospedale per autolesionismo o per disturbi psichiatrici hanno vissuto prima dell’arrivo del COVID-19.
La durezza e la tragicità di tali storie potevano essere mascherate e talvolta mitigate dall’investimento in attività quali lo sport o la musica (che al momento sono come congelate e mancanti) ma non risolte da esse, se non in rarissimi casi.
Sfortunatamente, non possiamo illuderci che queste attività da sole possano permettere di mettere a posto certi problemi e fragilità che si hanno dentro.
Dunque, dal mio modestissimo e parziale punto di vista, ritengo che questo “boom di tentativi di suicidio e di autolesionismo tra i ragazzi” (come viene espresso in qualche enfatico titolo) non può essere causato dalla pandemia in sé ma del fatto che quest’ultima, costringendoci a stare chiusi in casa più tempo del solito e dunque a rimanere soli con noi stessi e a “guardarci dentro”, abbia messo a nudo difficoltà che erano già presenti e che forse non erano state colte precedentemente.
La domanda che mi pongo è se fosse davvero necessaria una situazione estrema come questa per fare sì che ci rendessimo conto di quanto delicati, contraddittori e bisognosi di aiuto e affetto sono i nostri figli.
Mi auguro almeno che ciò che stiamo vivendo in questa fase storica non diventi una comoda giustificazione per le nostre mancanze come genitori.