Ultima modifica 20 Aprile 2015
Ultima ipotesi: ucciso perché stava indagando formalmente sulla trattativa Stato – mafia.
Giudici, politici, giornalisti i morti per mano della mafia si sono susseguiti nel tempo, poi è toccato a personaggi noti ad un pubblico anche disattento: prima è toccato a Dalla Chiesa, poi a Falcone, ultimo Borsellino.Le motivazioni?
Quei personaggi davano fastidio perché erano onesti, perché osavano indagare a fondo senza timori, senza farsi condizionare dagli avvertimenti, dai segnali di morte.
La mafia, forse, pensava che nessuno avrebbe accettato di sostituire il prefetto generale Dalla Chiesa, pensava di essersi sbarazzata di Falcone quando, per i contrasti interni al tribunale di Palermo, per le vessazioni dei suoi stessi superiori e colleghi che mal vedevano la sua decisione di indagare a tutto campo, era stato costretto ad abbandonare la sua città.
Ma il trasferimento a Roma non aveva significato il suo abbandono della lotta contro la mafia, poiché il ministro Martelli gli aveva assegnato un ruolo ad hoc, un ruolo importante, ed lui era diventato, se possibile, ancora più pericoloso.
Talmente pericoloso che lo hanno fatto saltare in aria, lui, la moglie e tutta la scorta, un giorno che stavano tornando a Palermo, sulla strada di Capaci.
Processi dopo processi, depistaggi, pentiti, condanne e poi ancora altri pentiti, rivelazioni diverse, altre verità, altri accusati e……….ancora processi, non si è ancora giunti alla fine.
Se possibile è ancora più incerto e nebuloso l’iter delle indagine sull’assassinio del giudice Borsellino.
Anche lui, come Falcone, inviso a molti tra i suoi colleghi e superiori, con motivazioni diverse, ma……. E dopo 57 giorni dall’attentato di Capaci è stato ucciso, fatto saltare in aria davanti al portone delle casa della sua mamma, che andava a trovare regolarmente e la cosa era risaputa da tutti, ma una automobile ferma per un lungo tempo non aveva destato il minimo sospetto in coloro che dovevano proteggerlo? O non si sono neppure dati la pena di controllare? O non interessava a nessuno?
Anche qui indagini su indagini, sospetti su sospetti, pentiti diversi ognuno con le sue verità.
Poi i depistaggi, apertura e chiusura di filoni diversi di indagini, poi…….ma la verità vera è mai stata scoperta?
Di vero, di reale è il fatto che, dopo la loro morte, sono diventati degli eroi, sono diventate persone di cui tutti erano amici se non seguaci. In quel palazzo dove avevano vissuto così male, dove avevano nemici e detrattori in ogni angolo, sono spuntati come funghi ammiratori, amici, compagni di lavoro affezionati, persone che hanno sparso lacrime per le loro morti, tutti si sono affrettati ad incensarli, soprattutto quelli che li avevano avversati fino all’ultimo, quelli che si auguravano se non la loro scomparsa almeno un trasferimento e un assegnazione a compiti diversi.
Tanto che dopo tutti questi anni si continua a celebrare il loro ricordo nel giorno delle loro morti e……null’altro.
Poi, lo scorso anno, proprio pochi giorni prima della triste ricorrenza, è stato ritrovato il fascicolo con cui veniva formalmente assegnata al giudice Borsellino l’indagine sulla trattativa Stato – mafia.
Nel fascicolo compaiono i nomi delle persone presumibilmente coinvolte, nomi importanti, nomi noti e arcinoti dai capi di quella mafia stragista a politici allora ai vertici del potere, a personale a capo dei servizi segreti.
La rivelazione, anonima, di un incontro tra Calogero Mannino, allora ministro dell’interno e Totò Riina, l’allora latitante capo dei capi, era oggetto dell’indagine di Borsellino, inchiesta della quale Subranno, generale dei Ros, aveva chiesto l’archiviazione, poiché la riteneva priva di valore.
Questa documentazione, agli atti del processo Provenzano e per quel processo ritenuta ininfluente, è stata però trasmessa, per competenza, alla procura di Caltanissetta che indaga sui moventi della strage di via d’ Amelio.
La procura scopre scenari inquietanti. Ufficiali del Ros, lo stesso ex ministro che prima negano incontri con Borsellino e poi, davanti alle prove, ne minimizzano la portata dicendo che si era parlato d’altro, che c’era stato solo un saluto e che il fascicolo non poteva portare ad altro che a favorire lo sviluppo di stagioni velenose e disgreganti, e dichiarano che la sola intenzione era stata quella di infangare Mannino.
Perché, allora, non si è controllato l’operato di Subranni che non solo aveva bloccato ogni indagine, ma era noto come il referente di Mannino che a lui si era rivolto dopo l’assassinio di Lima, perché?
Nemmeno Borsellino aveva dubbi su di lui, ma pochi giorni prima di essere assassinato cominciò ad averne, come confidò a sua moglie.
Dopo l’attentato Subranni non demorde e, forse temendo il proseguimento delle indagini, torna a chiedere l’archiviazione.
Questa è la storia narrata per sommi capi poiché indagini giornalistiche hanno seguito passo dopo passo l’iter del tentativo ( riuscito?) dell’insabbiamento.
Ma chi aveva affidato quel fascicolo a BORSELLINO?
Era un esposto anonimo, è vero, come lo sono quasi tutti gli esposti contro la mafia, non ha pensato, non ha avuto neppure il minimo sospetto che quella denuncia e le conseguenti indagini fossero la causa della strage?
O ha avuto paura delle conseguenze per se e ha fatto finta di niente?
Non tutti sono eroi, tantomeno i servitori dello Stato, quegli stessi che si prendono gli onori, lasciando gli oneri agli altri.
E se ci scappa una strage? Sono i primi che, in gramaglie, la faccia compunta, spargono parole di dolore e di rimpianto, forse felici che in quella cassa non giacciano le loro spoglie.
Sono passati gli anni, le indagini, lunghissime, sulla trattativa Stato – mafia sono giunte al termine e, da un anno, è stato iniziato il processo. Arriveremo a conoscere la verità?
Qualcuno ritroverà un briciolo di coscienza e si vergognerà, confessando i propri delitti?
Il tribunale di Palermo, a quei tempi, era noto come il palazzo dei veleni, e non si può fare a meno di ricordare quanti problemi, quante difficoltà abbiano trovato Falcone e Borsellino, insieme e separatamente, nel condurre le indagini, tranquillamente e non osteggiati dai loro superiori e dai loro colleghi.
Vedete, molti hanno chiesto e, forse, ottenuto che la stagione degli attentati delle brigate rosse, ormai lontana nel tempo, fosse, finalmente, conclusa con una sorta di pacificazione, di assoluzione degli autori, anche mediante la concessione della grazia agli ideatori, alle menti che avevano pensato e guidato gli attentati, per seppellire definitivamente quella stagione. Ma se non siamo proprio sicuri che le brigate rosse abbiano cessato di esistere, la mafia vive e prospera, forse trasformata, forse adattata ai tempi, forse più evoluta e i protagonisti, dall’una e dall’altra parte, vivono ancora e sovente nascosti dai segreti di stato, sono riusciti ad occultare delitti, ruberie, stragi.
È un sottobosco inestricato, una pianta infestante, una gramigna che tutto distrugge, che tutto soffoca.
Chi si è ribellato ed è rimasto solo a combattere è morto, morto assassinato, come i giudici ragazzini, come giornalisti impavidi, come Dalla Chiesa, come Falcone e Borsellino e i tanti che hanno affrontato la mafia a viso aperto.
Ad un anno dall’apertura del processo Stato –Mafia, non se ne sa più nulla, nessuno ne parla, un ulteriore, definitivo insabbiamento?