Ultima modifica 20 Giugno 2019
Ad Alessandria un caso di bullismo nei confronti di un insegnante.
I primi del febbraio scorso, un’insegnante, supplente di un Istituto Superiore con problemi di deambulazione, viene derisa e maltrattata dagli alunni.
A detta di molti, la professoressa sarebbe stata anche legata ad una sedia e presa a calci.
Essendo una bravata di cui vantarsi, i ragazzi hanno ripreso la scena, diffusa poi sui social.
La notizia ha fatto il giro del web e dei giornali.
Ma i fatti non sarebbero andati proprio così.
Il Preside è infatti intervenuto spiegando che i ragazzi hanno approfittato della disabilità dell’insegnante per indurre nella classe qualche risatina di troppo e per mettere dello scotch nella borsetta.
Ma nessuno l’avrebbe legata alla sedia e le immagini riprese sarebbero state tolte immediatamente dai social.
La vicenda sembra essere stata smentita anche dai genitori, che pur accusando i ragazzi di mancanza di rispetto nei confronti dell’insegnante, hanno minimizzato l’accaduto. I genitori sostengono che le vittime sono i propri figli, descritti come delinquenti e demonizzati ingiustamente.
La stessa insegnante ha deciso di non sporgere denuncia.
Nel leggere i vari articoli, all’inizio ho provato indignazione nei confronti del fatto in sé.
Tante accuse e tante giustificazioni. Poi ho ripensato al mio “essere stata alunna”.
La scena mi ha fatto tornare indietro di qualche anno, ai tempi del Liceo e mi ha fatto venire in mente le tante e ripeto tante volte in cui nella mia classe o nel mio Istituto si è verificato un fatto simile.
Io sfido chiunque di voi a dirmi che non è mai accaduto.
Cosa c’era di diverso?
Noi eravamo gli stessi ragazzi di adesso, anche se da adulti non ce ne rendiamo più conto.
Ma avevamo la libertà di vivere i nostri errori e le nostre sconfitte senza essere messi subito sotto la luce dei riflettori. Non c’erano giornalisti pronti a vedere il marcio, non c’erano social su cui postare foto.
Io concordo sul fatto che i ragazzi sono vittime inconsapevoli e carne da macello.
Viviamo in un sistema che li rende onnipotenti ed intoccabili fino alla fine della loro carriera scolastica.
Poi li catapulta nel mondo reale, dove le loro fragilità e debolezze irrisolte al momento giusto diventano problemi insormontabili.
La scuola, a differenza del mondo del lavoro, è il luogo dove tutti posso permettersi di criticare ed accusare.
Gli istituti Scolastici sono diventati dei supermercati.
Tutti sono impegnati e vendere al meglio il proprio prodotto. Guai a far vedere qualcosa che non va!
Guai a toccare coloro che permettono alla giostra di andare avanti nella sua corsa!
E allora mi viene da sorridere quando si parla di insegnante bullizzata.
Il vero bullismo nei confronti delle insegnanti non è quello della risatina dell’alunno, ma quello dell’indifferenza e della minimizzazione della società.
Il Preside ha tenuto a sottolineare che l’insegnante, in quanto supplente, era timida ed insicura e che a causa della sua disabilità non veniva mai lasciata da sola! Conclusione… Non è stata in grado di gestire la classe.
Dove è andata a finire la dignità e la privacy di quella professoressa?
Il vero bullismo è quello che viviamo tutti i giorni, in quanto non considerati come lavoratori con gli stessi diritti degli altri.
La maggior parte di noi non ha contratti a tempo indeterminato e vive per anni nel precariato.
Gli stipendi non vengono pagati regolarmente e i cedolini paga sono incomprensibili.
Il nostro lavoro viene messo ogni giorno in discussione, da genitori e alunni.
Non abbiamo la libertà di esprimere giudizi, ma tutti si possono permettere di giudicare il nostro operato.
Tutti sarebbero in grado, a casa, di svolgere le nostre mansioni in modo eccellente.
Il nostro compito è fra i più difficili, in quanto dobbiamo plasmare i bambini per farli diventare gli uomini di domani, ma spesso siamo considerati come baby sitter o badanti di basso livello.
Passiamo giornate intere con bambini che i genitori definiscono “ingestibili”, senza a volte ricevere neanche un grazie. Non voglio fare di tutta un’erba un fascio, come dice il proverbio, né far la parte delle vittime della situazione. Semplicemente fermarci a riflettere. E’ giunto il momento di cambiare qualcosa se non vogliamo essere schiacciati.
E il cambiamento deve partire da ogni singolo individuo.
Ho scelto di fare questo lavoro perché amo i bambini, nella loro innocenza, nel loro saper essere sempre veri. Adoro immergermi nei loro occhi desiderosi di conoscere. La loro curiosità è un motore instancabile. Non fermiamolo!
Cominciamo ad insegnare ai nostri figli ad accettare le sconfitte, a capire che lo sbaglio è umano, ma c’è sempre un rimedio. Facciamoli uscire da questa forzata perfezione. Lasciamoli liberi di vivere le proprie imperfezioni ed accettiamoli per quello che sono.
Hanno il diritto di subire le conseguenze dei propri errori e di farne tesoro per il futuro.
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