Ultima modifica 28 Aprile 2021
Ormai sui social sembra diventare sempre più frequente: adolescenti che, con le loro azioni limpide e a volte innocenti, stanno muovendo cose che noi adulti non ci saremmo mai aspettati.
Un manipolo di tredicenni che riescono a sventare un attentato terroristico.
Una sedicenne che con il suo cartello esposto ogni venerdì davanti al parlamento svedese smuove le masse.
E per ultimo un quindicenne che, con il suo accento romano ma [pare] una capacità linguistica più che accettabile, affronta dei manifestanti (adulti ed estremisti) dicendo serenamente “Io so de Torre Maura e nun so’ d’accordo“. Senza avere timore di “sfidare” quell’adulto che gli scuote l’indice davanti al volto e cerca di metterlo all’angolo stigmatizzandolo con un semplicistico “Hai solo 15 anni…”
Rispondendo, anzi, con una tranquillità che fa da eco alla convinzione di ciò che sta esprimendo.
Adolescenti in primo piano che prendono posizione su temi sui quali gli adulti dibattono in modo acceso quasi quotidianamente. Con un linguaggio semplice, fatto di gesti o di parole, che molto spesso lasciano basiti.
Non è mia intenzione farne una questione politica, almeno non nel senso negativo che questo termine sta assumendo negli ultimi anni.
Anche se, in realtà, di politica si tratta.
Ma di quella politica che ha il significato originario di “cura della polis” cioè del luogo in cui viviamo. Quel luogo che noi adulti abbiamo la responsabilità di lasciare alle nuove generazioni migliore di quello che abbiamo ricevuto.
A quegli esseri viventi che guardiamo quotidianamente con sospetto chiedendoci a quale strano pianeta appartengano perché li vediamo così lontani da noi. Chiedendoci ogni giorno chi siano.
Sono adolescenti. Ragazzi che vivono quell’età della vita nella quale ogni cosa assume un valore assoluto, a volte fosforescente. Quegli anni in cui un ideale ha senso solo se è estremo, anche se raccontato con parole semplici. Ma con coraggio.
Come già è accaduto in un passato non molto lontano.
Al netto delle eventuali strumentalizzazioni (che io aborro) mi piace pensare che questi ragazzi stiano semplicemente esprimendo la loro idea di come il mondo dovrebbe andare. E, mi viene da aggiungere, avercene!
Anche se, purtroppo, i social (quei luoghi virtuali demonizzati dagli adulti perché sembrerebbero lobotomizzare i giovani) pullulano di attacchi e giudizi proprio da quella generazione che (forse) vive nel virtuale molto più assiduamente di coloro che accusano di farlo.
In fondo la domanda (suggerita in una conversazione da un’amica e collega) che dovrebbe risuonare nelle orecchie è una sola.
“Ma se invece di sollevare tutto questo caos noi adulti imparassimo a vergognarci dei nostri silenzi pusillanimi? Se ci lasciassimo interrogare da questi adolescenti protagonisti?”
Perché il tema è proprio questo.
I ragazzi ci stanno costringendo a guardarci allo specchio.
Solo che noi adulti non vogliamo accettarlo, per mille motivi.
Primo fra tutti, forse, perché abbiamo paura di guardare alle loro competenze, perdendo un pezzo di storia educativa colossale senza esserne consapevoli.
Come a dire che gli adolescenti di oggi ci stanno servendo, su un piatto d’argento, occasioni di osservare il funzionamento del mondo con un occhio differente, scevro da ogni condizionamento che l’età adulta ci ha inculcato.
Come se ci richiamassero ad aprire gli occhi e guardare alla nostra vita e alle nostre scelte con quella scintilla di ingenuità poco consapevole unità all’innocenza dei valori veri che, forse, abbiamo dimenticato.
Perché, alla fine, se a Torre Maura gli autobus non passano è forse colpa dei rom?
Non sembra così difficile da capire…